La Commissione antimafia pubblica la bozza della relazione sulle missioni svolte in Calabria: scuole a rischio chiusura nel territorio provinciale più povero, grandi aziende in fuga e enti locali in dissesto
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Una radiografia inclemente. Che va ben oltre l’analisi dei dati inerenti la delittuosità e le risultanze investigative sul contrasto al crimine organizzato.
La provincia di Vibo Valentia è sull’orlo del baratro e lo stigmatizza la Commissione parlamentare antimafia, che ha reso pubblica la bozza di relazione in seguito alle missioni svolte nelle città di Catanzaro e di Vibo Valentia, il 28 e 29 settembre 2020 e il 19 e 20 ottobre 2020, a Cosenza e Crotone, il 28 e 29 ottobre 2021 e, infine, il 6 e 7 dicembre a Reggio Calabria.
Scuole a rischio estinzione
«Elevato - è scritto, attingendo dalle relazioni e dalle audizioni acquisite dalle massime autorità istituzionali del Vibonese - il tasso di emigrazione soprattutto della parte più giovane della popolazione e il fenomeno della dispersione scolastica. Secondo quanto riferito dal Prefetto, appaiono negative le prospettive circa la permanenza delle scuole nei centri più piccoli, cui seguirà inesorabilmente la eliminazione o, quantomeno, la riduzione dei servizi in essi ad oggi ancora esistenti. Trattasi di condizioni che costituiscono un tessuto favorevole per lo sviluppo della criminalità, soprattutto organizzata, rispetto alla quale la prima difesa è certamente apprestata dalla cultura e dalla scolarizzazione».
Enti locali ed economia al collasso
E poi: «Gli enti locali della provincia di Vibo Valentia sono afflitti da endemica carenza di personale e l’età media dei dipendenti è molto alta, mancando ogni forma di turn over. Molti di tali enti versano in situazione di dissesto (stato che caratterizzava anche il Comune capoluogo e la Provincia) o comunque di predissesto. Ne consegue la carenza delle infrastrutture, soprattutto viarie». E ancora: «Il tessuto imprenditoriale è costituito pressoché esclusivamente da microimprese, operanti tutte nei settori tradizionali dell’agricoltura, dell’allevamento, del turismo o della trasformazione alimentare, non avendo l’economia vibonese vocazione industriale. Peraltro, è indicativo della situazione dell’economia nel territorio il fatto che vi sia l’indice più elevato di estinzione e nuova iscrizione delle micro imprese che vi operano».
Sempre tra i più poveri
Secondo quanto si legge nella relazione del prefetto acquisita dalla Commissione antimafia «Vibo Valentia risulta tra le province più povere d’Italia: si colloca stabilmente agli ultimi posti nelle statistiche nazionali quanto a indici economici, servizi e qualità della vita e si connota per un tessuto economico fragile e per un elevatissimo tasso di disoccupazione; il reddito pro capite delle famiglie è estremamente basso. Il settore agricolo e quello turistico offrono, infatti, limitate opportunità di impiego in quanto la proprietà terriera è estremamente parcellizzata e il turismo è quasi esclusivamente legato alla stagione estiva lungo la fascia costiera. L’attività edilizia, un tempo tra i settori più attivi dell’economia locale, è oggi in notevole crisi e recessione».
'Ndrangheta padrona
La chiusura del sito produttivo dell’Italcementi, la temuta dismissione del polo di stoccaggio petrolchimico di Eni, la crisi finanziaria degli enti locali, la «non ottimale» gestione degli impianti idrici e il «cronico malfunzionamento delle strutture sanitarie» delineano il ritratto di una provincia gravemente malata. Ed è proprio in questo contesto che la criminalità organizzata diventa padrona. Tra gli auditi della commissione antimafia, il procuratore Camillo Falvo che «dopo essersi soffermato sulla allarmante diffusione dell’utilizzo di armi e su una recrudescenza di atti violenti, in particolare di omicidi e tentati omicidi dovuti a motivi futili e da ricondurre a situazioni generiche di subcultura, ha sottolineato la forte incidenza della criminalità organizzata su tutti gli aspetti della vita sociale, economica ed amministrativa del territorio. I sodalizi criminali di stampo ‘ndranghetistico storicamente presenti nella città di Vibo Valentia e nella sua provincia, si contraddistinguono, infatti, sia per l’impiego di strumenti di pressione di tipo collusivo e corruttivo miranti a condizionare le strutture amministrative, sia per la loro spiccata impostazione imprenditoriale, che si manifesta nella conduzione delle più svariate attività illecite e nella loro crescente infiltrazione nelle attività economiche».
I Mancuso e non solo
La leadership criminale è del clan Mancuso di Limbadi, ma il fenomeno mafioso si irradia su tutto il territorio attraverso la presenza di numerosi altri locali di ‘ndrangheta: appalti e subappalti, nell’edilizia pubblica e privata, investimenti nel settore dell’energia pulita, ovvero nell’eolico e nel fotovoltaico, ma anche negli impianti a biomasse, narcotraffico... Una pervasività assicurata – spiega la relazione – anche grazie alla compiacenza di imprenditori e colletti bianchi. Nel complesso, poi, la Commissione antimafia fa sue le acquisizioni, sugli assetti geomafiosi, portate a dibattimento nei maxiprocessi Rinascita Scott e Imponimento.
La mafiosità delle imprese
È però sulla “mafiosità delle imprese” il dato più sconcertante: «Secondo quanto emerge dal rapporto dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sulle imprese destinatarie di interdittive antimafia, nel periodo 2014-2018 i provvedimenti emessi dalla Prefettura di Vibo Valentia sono stati 139. Il numero, pur inferiore a quello delle misure interdittive disposte dal Prefetto di Reggio Calabria nello stesso periodo (pari a 222), conduce Vibo Valentia al vertice della classifica nazionale ove rapportato in termini percentuali, al numero degli abitanti del territorio: il “tasso di mafiosità” (che nella media nazionale è di 3,3 imprese interdette ogni 100.000 abitanti), viene decuplicato a Reggio Calabria (ove risultano interdette 40,3 imprese ogni 100.000 abitanti), per raggiungere livelli massimi, appunto, a Vibo Valentia, dove negli anni di interesse sono state emesse misure interdittive antimafia nei confronti di 86,4 imprese ogni 100.000 abitanti. La situazione non sembra essere migliorata negli anni più recenti, atteso che sono state colpite da misure interdittive 30 imprese nel 2019 e altre 11 nei primi mesi del 2020».