Oltre quaranta rinvii a giudizio nell’ambito della maxi inchiesta ‘Propaggine’ della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma contro la prima “locale” di ‘Ndrangheta nella Capitale. Una ventina di imputati, sui 66 per i quali la Procura capitolina aveva sollecitato il processo, hanno chiesto il rito abbreviato. Fra gli imputati figurano i due boss ritenuti al vertice dell’organizzazione criminale, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, appartenenti a storiche famiglie di ‘Ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Mentre Vincenzo Alvaro verrà giudicato con rito ordinario, Antonio Carzo ha chiesto il rito abbreviato.

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Nell’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘Ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa. La “locale” operava a Roma dal 2015 dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria.

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«Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto», dicevano in un’intercettazione gli indagati. E nelle conversazioni riportate nell’ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: «C’è una Procura… qua a Roma … era tutta … la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino»…«e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra… maledetti». Il processo in ordinario inizierà il 12 settembre davanti all’ottava sezione penale del Tribunale di Roma.