Le gole profonde – ovvero l’ex killer Raffaele Moscato e l’ex padrino emergente Andrea Mantella – hanno granitici riscontri: c’era davvero un piano per assassinare il superboss, oggi ergastolano, Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, mentre segmenti degli stessi Mancuso ne erano compartecipi o, comunque, consapevoli. La monumentale indagine Adelphi – che oggi vede a giudizio davanti al Tribunale di Vibo 70 imputati, accusati dalla Dda del procuratore Nicola Gratteri di narcotraffico – aggiunge dettagli inediti e clamorosi sugli equilibri interni al potentissimo clan ‘ndranghetista di Limbadi e Nicotera, prima che la scarcerazione di Luigi Mancuso, alias “il Supremo”, placasse le ostilità familiari e gli arresti eccellenti del 2012 fermassero la scia di sangue che aveva bagnato l’intera provincia di Vibo Valentia.

Il primo a volere morto Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, sarebbe stato proprio Mimmo Campisi, ovvero il broker del narcotraffico trucidato il 17 giugno del 2011 da un commando che il pentito della Piana di Gioia Tauro, Arcangelo Furfaro, successivamente sostenne essere stato composto dai sicari inviati da Pantaleone Mancuso, alias l’Ingegnere, il quale col cugino omonimo (Scarpuni) aveva stretto un patto d’acciaio che mise all’angolo perfino gli «zii grandi».

Il giorno in cui fu assassinato Mimmo Campisi – lo dice Moscato, ma ne hanno acquisito in tempo reale riscontro sia la Squadra mobile di Vibo Valentia che i finanzieri del Gico di Trieste che della Compagnia di Vibo Valentia –, lo stesso Campisi doveva incontrare a Nicotera Rosario Fiorillo alias il Pulcino, ritenuto la feroce bocca di fuoco del clan dei Piscopisani. Era il periodo in cui il piano per assassinare Scarpuni («e decapitarlo con un’accetta», svelò sempre Moscato) era nel vivo dei preparativi e avrebbe visto protagonisti non solo il clan dei Piscopisani e lo stesso Campisi, ma anche il clan di Tripodi di Vibo Marina e Porto Salvo e segmenti degli stessi Mancuso.

Scarpuni allora avrebbe inteso fagocitare un colossale affare legato al narcotraffico imbastito dal broker Vincenzo Barbieri, assassinato tre mesi prima del delitto Campisi, e – secondo i sospetti dei rivali – nell’estate del 2010 avrebbe anche ordinato l’eliminazione per lupara bianca di Salvatore Drommi, uomo di fiducia dello stesso Campisi.

In gioco ci sarebbe stata, in particolare, una maxi-spedizione di cocaina dalla Bolivia, ovvero una partita da ben 1.200 chili di polvere bianca sequestrata l’8 aprile del 2011 nel porto di Livorno. La scia di sangue, d’altronde, sarebbe iniziata ancora prima, con un agguato che doveva essere da monito per tutti, quello costato la vita, l’8 novembre 2010, a Cosma Congiusti.

L’informativa redatta dal Gico di Trieste dai finanzieri della Compagnia di Vibo Valentia, agli atti dell’indagine Adelphi portata a conclusione dai pm antimafia Antonio De Bernardo e Anna Maria Frustaci aggiunge, incrocia ed inserisce in un disegno lucido, il quadro di ciò che stava avvenendo in quella delicatissima fase storica, incrociando le risultanze investigative delle Squadre mobili di Bologna e Vibo Valentia e dei carabinieri di Vibo e Tropea: «Non si può non sottolineare – scrivono gli 007 delle fiamme gialle – come sia i vertici della cosca Tripodi, sia Fiorillo Rosario per conto del gruppo criminale di Piscopio, all’epoca mantenessero rapporti anche con il boss Mancuso Cosmo detto Michele e con i figli di quest’ultimo Michele e Giuseppe […]».

Proprio Cosmo Mancuso – rammenta la Guardia di finanza –, aveva dimostrato l’indagine Costa pulita, era «entrato in contrasto» con i nipoti Pantaleone Scarpuni e Pantaleone l’Ingegnere, intenzionati a ricercare «piena autonomia criminale rispetto agli zii anziani e quindi dagli elementi di vertice della famiglia mafiosa di Limbadi».

Gli inquirenti, in quella fase, documentarono diversi incontri tra i due giovani Mancuso (figli di Cosmo Michele Mancuso) e gli esponenti del cartello composto dai Tripodi e dai Piscopisani, che con Antonio Campisi e Salvatore Cuturello, figlio e cognato di Domenico Campisi, alla fine del 2011, tra ottobre e novembre, intendevano portare a compimento l’omicidio di Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”. Il piano, mentre nel Vibonese era deflagrata una nuova guerra di mafia, sfumò e alla fine del 2012 l’incisività dell’azione repressiva delle forze antimafia consegnò Scarpuni alla giustizia in nome del Popolo italiano.