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La ‘ndrangheta di Cosenza voleva uccidere Nicola Calipari. L’inquietante retroscena emerge dalle carte dell’inchiesta “Ndrangheta stragista”, portata a termine oggi da polizia e carabinieri di Reggio Calabria, sotto la direzione della Dda dello Stretto. Nicola Calipari, poliziotto appartenente ai servizi segreti italiani, ucciso a Baghdad il 4 marzo del 2005, durante le operazioni di liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, in passato fu dirigente della Squadra mobile di Cosenza. Era il periodo compreso fra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90.
Il colloquio di Graviano
È Giuseppe Graviano, boss del mandamento di Brancaccio, a fare riferimento a Calipari in alcuni suoi colloqui in carcere, intercettati dagli investigatori. È il 12 febbraio 2016 e il boss discute del progetto omicidiario ai danni dei un funzionario di polizia indicato in Nicola Calipari. Graviano spiegava ad Adinolfi che i calabresi avevano chiesto a Cosa nostra, forti del legame ormai instaurato, di uccidere il funzionario della Mobile di Cosenza, Calipari, approfittando della circostanza che lo stesso si recava nella città di Palermo per ragioni familiari. Dopo un’iniziale collaborazione fornita da Cosa Nostra, Graviano si vantava di aver bloccato l’esecuzione del delitto, salvando la vita a Calipari. Il boss indica anche il luogo esatto in cui si recava Calipari con la moglie.
I Notargiacomo, la mafia e l’eversione
Spicca, in tutta la vicenda, la figura dei fratelli Notargiacomo. Le loro dichiarazioni portano ad accertare come tale famiglia avesse contatti con esponenti di Cosa Nostra che si estendevano anche a Leoluca Bagarella. Questi risultava avesse stretto, durante le sue carcerazioni, strettissimi rapporti con esponenti della destra eversiva, fra cui il noto Mario Di Curzio. Quest’ultimo si era avvicinato a Concutelli e ad altri e partecipava a manifestazioni contro l’amministrazione.
Il pentito Drago racconta i dettagli
Sono diversi i collaboratori di giustizia che hanno rilasciato dichiarazioni in tal senso. Gli inquirenti sono andati a sentire innanzitutto Giovanni Drago, per il suo ruolo di estremo rilievo avuto nel mandamento di Ciaculli/Brancaccio. «Fu proprio Marchese Antonino, forse, ma non sono sicuro – spiega Drago – unitamente a suo fratello Giuseppe, a conoscere per primo, fra noi di Cosa Nostra palermitana, i suddetti Notargiacomo. Ricordo che tale conoscenza avvenne nel carcere di Trani dove Marchese Antonino, e forse Giuseppe, erano detenuti unitamente ai Notargiacomo. In seguito a questo periodo di co-detenzione con il (o i) Marchese, i Notargiacomo vennero scarcerati prima del (o dei) Marchese suddetti. Fu quindi Gregorio Marchese, che invece era libero e non era stato detenuto a Trani ( ma se non erro in quel periodo non è mai stato detenuto) fratello di Giuseppe e Antonino, nonché mio cugino, a presentarmi i Nortargiacomo che io stesso ho poi presentato a Giuseppe Graviano. In tutta evidenza, quindi, i Marchese detenuti (Antonino e, forse Giuseppe) avevano fatto da tramite con il fratello Gregorio per metterlo in contatto con i Notargiacomo e ritengo che ciò possa essere avvenuto nel corso di colloqui con i familiari nel suddetto carcere di Trani».
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Il collaboratore poi entra nei dettagli: «Mi chiedete se i Notargiacomo si siano mai lamentati dell’azione investigativa o comunque del comportamento di qualche uomo dello Stato. Si ricordo bene questa circostanza. Mi pare di averne già parlato in qualche verbale. In ogni caso ricordo che i Notargiacomo si lamentavano, anche con me personalmente, sia del Direttore di un Carcere, che operava dalle loro parti (direttore che, se non ricordo male, poi, è stato ucciso) in quanto a loro dire pare fosse stato molto duro nei loro confronti ed aveva fatto, sempre a loro dire, degli abusi contro di loro, che di un funzionario di polizia, sempre operante delle loro parti, quindi a Cosenza, che indagava con molta capacità e decisione su di loro. Con riferimento a questo funzionario, ricordo che i Notargiacomo ci dissero che lo stesso veniva a Palermo, mi pare con cadenza mensile (…). In ogni caso i Notargiacomo (…) volevano essere autorizzati dal Graviano Giuseppe ad uccidere detto funzionario quando, accompagnando la moglie, veniva a Palermo. Se non ricordo male ci dissero anche il tipo di macchina che utilizzava. (…) In seguito Graviano Giuseppe mi disse che di quell’attentato al funzionario di polizia cosentino da farsi a Palermo non se ne faceva nulla perché non era il momento di fare “chiasso” con un atto così eclatante».
I Notargiacomo confermano. Ma… è Calipari oppure no?
Tocca quindi a Nicola Notargiacomo parlare con gli inquirenti. E l’uomo conferma in toto le dichiarazioni di Drago, spiegando addirittura che Graviano andò a Cosenza a far visita alla famiglia, assieme alla moglie ed alla cognata e con Marcello Tutino, nell’estate del 1988. «Andammo insieme a Camigliatello Silano per fare una gita», spiega Notargiacomo.
Poi si affronta la questione dell’omicidio del funzionario di polizia. Notargiacomo conferma la volontà dei cosentini di ucciderlo, ma fa il nome dell’ispettore Toni Provenzano, il quale «ci dava fastidio. Spesso fermava mio fratello, lo controllava. Abusava della sua divisa per motivi personali. Insomma, dava noia, eccedeva, era troppo zelante». Gli investigatori domandano perché uccidere un ispettore a Palermo. La risposta è quasi scontata: «Così nessuno poteva sospettare di noi e soprattutto ci fidavamo dei palermitani e dell’appoggio che avrebbero potuto darci». Il fratello Andrea Notargiacomo aggiunge: «Ricordo che in un primo momento Graviano ci diede l’assenso». Poi arrivo lo stop da Totò Riina al pedinamento di Provenzano.
Anche Calipari era un obiettivo
Dunque, si trattò di errore nell’indicare Calipari? Non proprio. Ecco cosa racconta Andrea Notargiacomo circa l’uomo dei servizi ucciso in Iraq: «Il dottor Calipari era un obbiettivo del gruppo Perna e in particolare di Franco Perna che lo voleva morto. Ciò fin da prima del nostro arresto e della nostra detenzione a Trani per l’omicidio Cosmai. Il Calipari era un poliziotto che dava “fastidio”, molto tenace e, in particolare, aveva redatto dei rapporti indirizzati al Carcere di Cosenza e quindi al Cosmai, nei quali evidenziava la pericolosità di Franco Perna al fine di fargli revocare la semilibertà. Ciò in epoca antecedente e prossima al 1985. Insomma Calipari era in pericolo. A vostra domanda non escludo affatto che noi abbiamo parlato di queste intenzioni del Perna ai danni del Calipari anche con i siciliani. Tenete conto che questo tipo di delitti in danno di rappresentanti dello Stato, come il caso del Cosmai, agli occhi di Cosa Nostra era come se fossero delle “stellette” dei veri e propri segni distintivi della nostra capacità criminale e della nostra affidabilità. Dunque niente di più facile che parlando con i siciliani sia a Trani che a Palermo del delitto Cosmai, si sia fatto riferimento anche ai propositi del Perna (del cui gruppo abbiamo fatto parte fino al 1989) di uccidere il Calipari. Si tenga anche presente che, nel febbraio 1988, quando fummo scarcerati da Trani, il proposito del Perna di uccidere il Calipari era ancora attuale e noi eravamo ovviamente coinvolti in tale progetto posto che eravamo appartenenti alla cosca del Perna».
Il quadro è ora più chiaro: ad aver rischiato di essere ucciso dai palermitani fu l’ispettore Provenzano. L’errore di persona compiuto da Graviano è spiegabile col fatto che sia Provenzano che Calipari prestavano servizio alla Mobile e quest’ultimo era davvero nel mirino della ‘ndrangheta di Cosenza, tanto da girare scortato per le minacce di morte ricevute, come confermato dalla moglie, Rosa Villecco Calipari. Ma non risponde al vero che Calipari e la consorte andarono a Palermo. Racconto invece riscontrato per Provenzano.
Consolato Minniti