«Tu ricordati: il mondo si divide in due, ciò che è Calabria e ciò che lo diventerà». Nell’intercettazione del vecchio boss della ‘ndrangheta che si confida con il figlio, c’è compendiato il senso stesso della colonizzazione criminale di Roma da parte delle cosche calabresi. Una colonizzazione iniziata negli anni ’70 e che si è trasformata con il tempo, adattandosi al tessuto economico della Capitale. Un’invasione raccontata dal nuovo rapporto sulle mafie nel Lazio, presentato venerdì dai magistrati della distrettuale antimafia romana, in cui viene fuori una criminalità in grado di «coordinare affari, tessere relazioni, smistare traffici, progettare e realizzare investimenti, dentro un tessuto economico unico nel panorama italiano».

La strategia

«I calabresi hanno sviluppato un modello di espansione criminale che è davvero straordinario, un modello di un’intelligenza criminale unico ed è un modello molto performante ed efficace». Tre i passaggi attraverso cui, secondo quanto dimostrato dalla indagini, le coppole storte trapiantate a Roma hanno portato avanti la loro strategia: «In primo luogo si clona dal territorio di origine la struttura criminale che va ad inserirsi nel territorio di espansione, in secondo luogo si esporta il metodo mafioso, infine la ‘ndrangheta ha esportato la capacità di queste strutture attraverso il metodo mafioso di creare relazioni con il mondo non mafioso e sono le relazioni che fanno forti le mafie».

Operazioni complesse, rese possibili da un tessuto economico unico in Italia – «tutto passa da Roma, o a Roma si rigenera» racconta intercettato un esponente degli Alvaro – e dalla capacità delle ‘ndrine di tessere accordi convenienti con le altre realtà criminali che operano in città, sia quelle autoctone, sia quelle che a Roma hanno spostato uomini e interessi. «La capitale presenta uno scenario di negoziazioni, scontri e guerre, alcune disarmate e altre poco visibili ma molto cruente. È il luogo dove da decenni si tirano le fila degli equilibri nazionali tra  ‘ndrangheta, Cosa nostra e Camorra che immaginiamo operare come entità separate e qui sembrano agire come un’unica struttura mafiosa in interazione con le mafie locali».

Fiumi di droga

Grimaldello con cui forzare le (scarse) difese della Capitale, come al solito, la gestione della droga. Sono i calabresi a fare la voce grossa negli approvvigionamenti. Sono le cosche di ‘ndrangheta a rifornire le piazze di spaccio e sono sempre gli uomini dei clan ad intervenire quando gli affari non girano come dovrebbero. «Nell’ambito del sistema criminale complesso che soffoca la Capitale – si legge ancora sul rapporto della distrettuale antimafia romana – la ‘ndrangheta si misura quotidianamente con la necessità di tenere un incontestabile controllo del mercato del narcotraffico: gestire tutto il possibile senza perdere la centralità nella filiera del commercio e della distribuzione della droga».

Si fanno fatica a contare le operazioni delle forze dell’ordine che negli ultimi anni hanno smontato parte di quella rete criminale che fa di Roma una delle piazze della droga più importanti (e ricche) d’Europa. Una rete capace di adattarsi all’ambiente che la circonda: «Qui a diversi livelli e con metodi differenti a seconda dei quartieri, le cosche interagiscono con le mafie tradizionali come camorra e Cosa Nostra e con le consorterie autoctone con cui si impongono soprattutto nella filiera del narcotraffico, facendo pesare il proprio ruolo di player unico sul mercato internazionale».