Avrebbe svelato l’esistenza di una consolidata “interazione sinergica” tra il clan Muto di Cetraro e l’imprenditore Giorgio Barbieri, 41 anni, di Roma, ma con rilevanti interessi economici in Calabria, l’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha portato alla luce un sistema illecito di gestione degli appalti in tutta la regione. Da un lato, il clan Muto sarebbe intervenuto per la soluzione in favore dell’imprenditore e delle sue aziende di tutte le problematiche di natura economica quanto criminale, dall’altro lato la stessa cosca avrebbe partecipato ai proventi d’impresa generati da Barbieri e dalle sue aziende.

 

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Ad avviso della Dda, tale rapporto fra i Muto e Barbieri sarebbe eloquente nella gestione della struttura ricreativa e discoteca  “Il Castello”, sita a Sangineto (Cs),in cui Andrea Orsino, genero del boss Franco Muto ed “organizzatore” della cosca Muto, sarebbe addirittura intervenuto per garantire da parte di terzo soggetto, pur vicino alla cosca, il pagamento di un canone di locazione nella misura voluta dalla proprietà, ovvero la famiglia Barbieri.

 

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Ancora più eclatante sarebbe poi la cointeressenza economica tra la cosca Muto e l'imprenditore Giorgio Barbieri nella la gestione della sala giochi “SalaSlot6”(“ClogoSrl”) a Cosenza, con modalità che avrebbero consentito – secondo gli investigatori - l’uscita di importanti somme di denaro attraverso la creazione di un conto dedicato cui far confluire denaro apparentemente proveniente da vincite fatte risultare in capo alla moglie del presunto braccio destro di Barbieri, ossia Massimo Longo, residente a Castrolibero e pure lui fra i fermati, ma che in realtà sarebbero state previamente liquidate per contanti ai reali vincitori.

 

Secondo i pm antimafia è inoltre “sorprendentemente inquietante” come la società che gestisce l'Hotel delle Stelle, sempre del gruppo Barbieri, sia riuscita abeneficiare  di forniture di pescato da parte della cosca Muto (che da sempre controlla il mercato del pesce in tutto il Tirreno cosentino) a prezzi scontati. Cosa che non sarebbe stata invece permessa a nessun altro imprenditore o azienda. E per far capire quale pressione asfissiante il clan Muto continua ad esercitare a Cetraro e dintorni sul mercato del pesce, la Dda sottolinea che a tutti i pescatori locali non solo viene imposto dal clan il prezzo di vendita, ma addirittura la quantità di pescato stesso, costringendo gli stessi pescatori a gettare a volte a mare il pesce pescato oltre le quantità imposte dalla cosca mafiosa dei Muto. Come è stato già accertato giudiziariamente da altre inchieste, a Cetraro non c’era infatti asta, nè contrattazione, né tantomeno pesatura del pescato. Tutto il pesce veniva invece stimato grossolanamente contando le cassette dove veniva riposto.

 

A Cosenza e provincia, l’imprenditore Giorgio Barbieri si sarebbe quindi posto non come semplice prestanome del clan Muto, ma ponendosi su “un piano paritario di interessi comuni”, svolgendo così la propria attività non solo nel territorio controllato criminalmente dalla cosca Muto, e cioè Cetraro e i territori vicini, ma anche in territori diversi dove grazie alla sua “qualità di imprenditore di riferimento della cosca Muto”, avrebbe ottenuto benefici e “agevolazioni” nel trattamento riservatogli dalle cosche delle varie zone dove andava a prendere i lavori.

 

Da un’importante intercettazione emerge infine che  Giorgio Barbieri si sarebbe seduto allo stesso  tavolo con Franco Muto, Franco Patitucci e Giorgio Morabito (quest’ultimo di San Giorgio Morgeto, ritenuto vicino ai Piromalli di Gioia Tauro e fra i fermati dell’operazione odierna) proprio in relazione allo svolgimento dei lavori da svolgersi in territori fuori del diretto controllo ‘ndranghetistico dei Muto, come quello a Cosenza in Piazza Bilotti.

 

Giuseppe Baglivo