VIDEO-NOMI | L’operazione coordinata dalla Dda di Bologna è stata eseguita in diverse province, tra le quali Reggio Calabria a Vibo
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Le mani delle cosche Piromalli di Gioia Tauro e Mancuso di Limbadi sui locali della riviera romagnola. È quanto ipotizza la procura antimafia di Bologna nell'inchiesta denominata Radici, nella quale sono state destinatarie di misura cautelare 23 persone, 4 in carcere, 3 domiciliari e 16 obblighi di dimora (35 il totale degli indagati) al termine di una vasta operazione che ha riguardato diverse province italiane, tra le quali quelle di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Nell'operazione sono stati sequestrati conti correnti, beni immobili e quote societarie per 30 milioni di euro.
L'inchiesta ha preso le mosse dal monitoraggio di cospicui investimenti immobiliari e societari riconducibili a soggetti di origine calabrese. Secondo la procura sarebbe stata così fatta luce su infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate in Calabria. Nell'operazione è rimasto coinvolto Francesco Patamia, 35enne di Gioia Tauro accusato di essere il collettore degli investimenti illeciti dei clan.
Tutti gli indagati
- Massimo Antoniazzi (obbligo di dimora)
- Domenico Arena di Vibo Valentia (obbligo di dimora)
- Claudia Bianchi
- Renato Domenico Brambilla (obbligo di dimora)
- Marcello Bagalà di Gioia Tauro (obbligo di dimora)
- Giuseppe Giorgio Caglio
- Gianluca Cannatelli di Soriano Calabro
- Antonio Carnovale di Vibo Valentia (ai domiciliari)
- Gregorio Ciccarello di Catanzaro (ai domiciliari)
- Alessandro Di Maina (obbligo di dimora)
- Carmelo Forgione di Sant’Eufemia d’Aspromonte
- Giovanni Forgione di Sant’Eufemia d’Aspromonte
- Giuseppe Forgione di Sant’Eufemia d’Aspromonte
- Rocco Gioffrè di Gioia Tauro (obbligo di dimora)
- Annunziata Gramendola di Vibo Valentia (obbligo di dimora)
- Claudio Grossi (obbligo di dimora)
- Federica Grossi (obbligo di dimora)
- Nicola Leo (obbligo di dimora)
- Giuseppe Maiolo di Vibo (obbligo di dimora)
- Domenico Mancuso di Vibo
- Alessandro Moraccini (obbligo di dimora)
- Giovanni Battista Moschella di Vibo (in carcere)
- Francesco Patamia di Gioia Tauro (in carcere)
- Rocco Patamia di Oppido Mamertina (in carcere)
- Eleonara Piperno di Vibo
- Pietro Piperno di Vibo
- Fabrizio Proietti
- Antonio Scrugli di Vibo (obbligo di dimora)
- Michele Scrugli di Vibo (obbligo di dimora)
- Giuseppe Sarto di Taurianova (obbligo di dimora)
- Leoluca Serra di Vibo (obbligo di dimora)
- Saverio Serra di Vibo (in carcere)
- Kundret Sullaj
- Giuseppe Vivona (ai domiciliari)
Le indagini
Le indagini sono state eseguite dagli specialisti del Gico della guardia di finanza di Bologna, con il supporto dello Scico. I presunti investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena emergenza epidemiologica da Covid-19, avrebbero riguardato nel tempo esercizi commerciali ubicati principalmente lungo il litorale romagnolo e in diversi settori economici, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria. Dopo mesi di complesse investigazioni sarebbe emersa la presenza nel territorio regionale di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da personalità di spicco, con propri interessi economici e, soprattutto, provvisto di legami con diverse famiglie e mandamenti della casa madre in Calabria, spesso menzionati nelle varie conversazioni captate.
Grazie al ricorso a indagini tecniche, telefoniche e ambientali, oltreché all’esame di oltre un centinaio di rapporti bancari, è stato documentato un vorticoso giro di aperture e chiusure di società che, formalmente intestate a soggetti prestanome, venivano utilizzate come mezzo per riciclare denaro ovvero per consentire l’arricchimento dei reali dominus, il tutto mediante sistematiche evasioni fiscali perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, sovente preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali, con palese noncuranza delle possibili conseguenze in termini di procedure fallimentari.
Quegli illeciti si sarebbero consumati in un contesto criminale connotato da ripetuti episodi di intimidazione e minacce, oltreché, in alcuni casi, di vere e proprie violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati (o hanno tentato di farlo) di aderire alle richieste dei sodali.
Il generale Gdf: «Mafia esiste anche qua e opera in silenzio»
«Certamente questa indagine conferma che in territori come quello dell'Emilia-Romagna le mafie esistono, le mafie operano e lo fanno sotto traccia, lo fanno senza chiasso, senza rumore. Le indagini hanno anche consentito di fotografare un fenomeno particolare, in sostanza questi soggetti 'ndranghetisti operavano suddivisi in piccoli gruppi, quelle che possiamo definire piccole 'cellule', guidate da dei boss che assumevano la funzione di manager. Manager assetati di investimenti». Così il comandante della Guardia di Finanza dell'Emilia-Romagna, generale Ivano Maccani, ha descritto i contorni dell'operazione 'Radici'.
Alcuni degli indagati sono responsabili di diversi episodi di intimidazione e minacce, e in alcuni casi di violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati, o hanno tentato di farlo, di 'obbedire' alle richieste dei clan. Nell'inchiesta sono finiti anche un commercialista e un avvocato, entrambi d'origini calabresi, che operano su Modena, entrambi interdetti per un anno dall'esercizio della professione, che per gli investigatori agivano come 'consiglieri' dei gruppi.
Le indagini partite da segnalazione sindaco Cesenatico
L'indagine della Guardia di Finanza di Bologna è partita dalla segnalazione di vari investimenti anomali, nel campo della ristorazione, da parte del sindaco di Cesenatico, Matteo Gozzoli. Parlando con gli investigatori nel luglio del 2019, il primo cittadino aveva spiegato inoltre che Rocco Patamia, padre di Francesco Patamia, quest'ultimo candidato alla Camera nelle ultime elezioni con la lista Noi moderati di Maurizio Lupi nel collegio di Piacenza, è stato autore di minacce verso un agente della polizia municipale, chiedendo «se avesse figli». Il sindaco sottolinea che già a partire dall'estate del 2018 aveva segnalato al prefetto di Forlì-Cesena che molte delle attività della famiglia Patamia erano state cedute, tra le quali un ristorante e una piadineria. L'unica attività ancora attiva, per Gozzoli, sarebbe stato un hotel, acquistato dalla famiglia Patamia e poi affittato nel novembre 2018 con una «gestione sui generis», perché si tratta di «un albergo rimasto chiuso anche durante le festività pasquali e in occasione della Sette Colli, gara ciclistica che richiama turisti dedicati nel Comune. Al momento - sottolinea il sindaco - l'attività parrebbe ancora chiusa e per quanto attiene al territorio la gestione è anomala».