Un bar messo a disposizione degli affiliati quale base operativa del clan e contatti con la nonna detenuta al fine di mantenere “vivi e operativi” i rapporti con gli affiliati in libertà. C’è anche questo nell’operazione “Crisalide”, scattata oggi contro il clan Cerra-Gualtieri-Torcasio. Un ruolo importante viene attribuito dalla Dda di Catanzaro a Teresa Torcasio, 28 anni, figlia di Giovanni Torcasio (cl. ’60) e sorella di Vincenzo Torcasio (cl. ’80), cognato di Cesare Gualtieri, ritenuto a capo dell’omonimo clan (tutti e tre condannati nell’operazione “Chimera”) e moglie di Antonio Miceli, 26 anni, pure lui fra i fermati di questa mattina.

 

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Dopo l’operazione “Chimera”, secondo gli inquirenti sarebbe stata proprio Teresa Torcasio a rapportarsi con la nonna Teresina Cerra (anche quest’ultima condannata nell’operazione “Chimera”) detenuta in carcere ma costantemente aggiornata dalla nipote in libertà su tutti gli affari del clan di famiglia. Teresa Torcasio avrebbe in pratica costituito quello che la Dda definisce come “anello di congiunzione tra gli associati detenuti e gli affiliati rimasti liberi, portando notizie e imbasciate all’esterno del carcere”. La contabilità del clan Teresa Torcasio l’avrebbe gestita unitamente al marito Antonio Miceli. Nella “cassa comune” sarebbero confluiti i proventi illeciti derivanti dalle varie attività della cosca partecipando attivamente al mercimonio di sostanze stupefacenti e consigliando con fermezza il marito – rimarcano i magistrati – sulle varie attività delittuose della consorteria”.

 

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La rapina a Pizzo Calabro. La donna, unitamente al marito, avrebbe inoltre effettuato il recupero di uno dei rapinatori della rapina a mano armata portata a termine l’1 dicembre scorso all’Ufficio postale di Pizzo Calabro. Rapina per quale l'11 dicembre scorso era stato arrestato Antonio Stella, 28 anni, di Lamezia Terme (LEGGI). 

 

Il bar. Il locale messo a disposizione del clan è stato individuato dagli investigatori nel bar Royal sito in via dei Bizantini nel quartiere di Capizzaglie. Sarebbero stati Vincenzo e Giuseppe Grande (raggiunto dal provvedimento di fermo), padre e figlio, i proprietari del bar che viene definito quale “base operativa” del clan”.

 

Giuseppe Baglivo