VIDEO | Domenica è arrivato a Crotone dal Belgio. Aveva sentito lo zio al telefono alle 3.40 del 26 febbraio, pochi minuti prima dello schianto. «Tutti scappano da quando sono arrivati i talebani» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Alle 3.40 del 26 febbraio Abdullah chiama il fratello in Belgio. A bordo del caicco che veleggia nel mar Ionio in tempesta dice di essere in procinto di arrivare in Italia.
«Dopo una decina di minuti abbiamo provato a richiamarlo ma il telefono risultava irraggiungibile. Era affondato in mare e loro tutti morti». Da allora del 28enne non si hanno più notizie. Di lui per ora resta solo una scarpa ritrovata sulla spiaggia di Steccato di Cutro, muta testimone della tragedia consumata a pochi chilometri dalle nostre coste.
Avvocato in fuga dall'Afghanistan
Abdullah aveva 28 anni ed esercitava la professione forense in Afghanistan. È quel che ci racconta il nipote giunto domenica a Crotone dal Belgio dopo aver appreso della sciagura. «Da quando sono arrivati i talebani tutti scappano dall’Afghanistan» ci spiega Ahmad, 21 anni, afghano anche lui, da un anno ha lasciato il paese per vivere in Europa. Lo stesso sogno inseguito dallo zio ma naufragato a poche bracciate dalla terra promessa. Ci mostra la sua foto: è seduto alla scrivania del suo studio intento a leggere un libro.
Dove non c'è pace
Ci chiede di attendere e digita qualcosa sul traduttore automatico dello smartphone, rigira il telefono e in lingua italiana appaiono le ragioni della fuga: «Da quando sono arrivati i talebani non possiamo più vivere pacificamente». Ed è l’Afghanistan a pagare il tributo di sangue più alto. Delle 64 vittime identificate (su 70 finora recuperate) ben 57 sono di nazionalità afghana. Nel computo dei morti rientrano anche la moglie e i due figli di Abdullah: 26 anni lei e 4 e 6 anni i bambini. L'intero nucleo familiare aveva tentato la traversata via mare.
In fondo al mare
I parenti giunti dal Belgio li hanno riconosciuti tra le bare allineate nel palazzetto dello sport di Crotone. Ma non il giovane avvocato, lui manca all’appello da oltre una settimana. Ahmad ci racconta che al Palamilone si è diffusa la voce tra i parenti delle vittime – giunte da mezza Europa – che i dispersi sarebbero rimasti incastrati nello scafo affondato a pochi metri dalla spiaggia. Lo chiede ai soccorritori al campo base allestito a Steccato di Cutro.
Prigionieri della secca
È un sommozzatore a rassicurarlo: in fondo alla secca, assieme al motore del caicco, non ci sono altri migranti morti. Ma Ahmad insiste e chiede perché allora le salme non riaffiorino dal mare. È questa la convinzione maturata: i dispersi rimasti imprigionati nello scafo in fondo al mare. I soccorritori ribadiscono che l’imbarcazione è andata in pezzi. Ma lui non vuole sentire ragioni, è convinto che il corpo dello zio Abdullah giaccia sul fondo incastrato nei resti dell’imbarcazione e domanda perché ciò che resta non sia ancora stato tirato fuori dal mare.