Forse prima di andare in palestra ci sarà stato il solito, stanco monito di tutti i professori di educazione fisica: “Chi non ha la tuta non gioca”. Un’ora diversa dalle altre a scuola, perché non ci sono compiti da affrontare, non ci sono interrogazioni. Per un ragazzo di 13 anni è sicuramente un momento per staccare, dove socializzare e fare un po’ di sport insieme ai compagni. Non sappiamo se Domenico avesse la tuta ieri, non sappiamo se avesse giocato a pallavolo o basket con i compagni di classe. L’unica cosa che sappiamo è che Domenico non giocherà più con i suoi amici.

La tragedia consumatasi ieri a San Costantino Calabro - dove Domenico Mazzeo, un ragazzino di appena 13 anni della scuola media, è morto tra le braccia dei propri amici mentre tornava in classe dopo l’ora di educazione fisica - ha scosso tutta la Calabria, lasciando sgomenta l’intera comunità del piccolo centro vibonese.

«Sarà importante non lasciare soli i compagni: vedere un loro amico morire deve essere stato devastante», afferma don Francesco Sicari, che è stato parroco di San Costantino per lungo tempo. «In queste ore, in questi giorni funestati da una tragedia così grande - riflette affranto dal dolore -, i suoi compagni si faranno tante domande sul senso della vita, sul perché è accaduto tutto ciò. Starà a noi – insegnanti, genitori, Chiesa – cercare di fargli trovare delle risposte. Ieri ho contattato un po’ tutti, dal sindaco al parroco, e ora mi preme sentire anche la dirigente scolastica che dovrà gestire questo delicatissimo frangente».

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Don Francesco parla di Domenico e della sua famiglia con grande affetto: «Un ragazzino a modo, proveniente da una famiglia di sani principi. Alcuni anni fa ha fatto con me la prima comunione. Era un bambino vivace, come lo sono tutti a quell’età, ma molto educato e partecipava frequentemente alle attività parrocchiali». E poi: «Appresa la notizia sono andato a cercare la foto che ho conservato con il suo gruppetto della prima comunione, era sorridente e il suo viso rimarrà impresso nella mia mente per sempre».

Poi il parroco si emoziona e trattiene a stento le lacrime: «Sto soffrendo con la sua famiglia e soprattutto con i genitori, perché la perdita di un figlio, diceva un pensatore, è l’evento più stressante che un essere umano possa sperimentare. Sto soffrendo con l’intera San Costantino, e Dio sta soffrendo con tutti noi».

Una prostrazione personale e collettiva, che trova nella fede l’unica ancora di salvezza. «Mancano pochi giorni al Natale – conclude don Francesco - e quella luce che ha illuminato la notte del mondo duemila anni fa, brilli più forte nel buio profondo di coloro che in questo momento sono avvolti dalle tenebre del dolore più atroce».