Le lenzuola bianche sono messe lì per celare allo sguardo ciò che giace sulle barelle, in fila nel corridoio dell’obitorio dell’Annunziata di Cosenza. Corpi senza vita, lasciati vicino alle camere ardenti in attesa di un più degno trattamento per chi non c’è più e anche per chi resta ad affrontare, in questo modo, una pena aggiuntiva rispetto a quella della scomparsa del proprio caro.  

Un mesto pellegrinaggio ancora più straziante per familiari e amici costretti, per poter rendere l’ultimo saluto, ad attraversare una sala mortuaria affollata di salme e dell’altrui cordoglio.

L’ospedale cosentino, così come per i vivi, anche per i morti sostiene il peso dell’utenza di un’area vastissima. L’anomalo incremento di questo flusso non è però da ricondurre a un maggiore tasso di decessi nella provincia ma piuttosto all’incremento della richiesta di cure mediche e di assistenza in una struttura organizzata, anche nella consapevolezza di trovarsi di fronte all’ultimo tratto della strada della vita, in prossimità dell’inevitabile. Questa prassi sta soppiantando quella, diffusa fino a poco tempo fa soprattutto nelle regioni del Sud, di trascorrere la fase terminale dell’esistenza nel conforto della propria casa e degli affetti familiari più stretti.

Si finisce così con l’approdare, appunto, in ospedale dove il susseguirsi di decessi genera il sovraffollamento dell’obitorio, acuito in questa fase dalla mancanza di un analogo servizio nell’altro presidio cosentino del Mariano Santo, interessato ancora da lavori di ristrutturazione, e alimentato inoltre dai trasferimenti di anziani provenienti da case di riposo e residenze sanitarie assistite, disposti nel momento in cui le loro condizioni di salute precipitano e necessitano di un’assistenza specialistica che i centri di provenienza non sono in grado di offrire.

Una condizione di disagio persistente che rischia di diventare cronica, al pari di quella delle lunghe e insopportabili attese per la tumulazione, dovute alla carenza di loculi nei cimiteri, altra penosa questione di dignità e civiltà figlia del nostro tempo.