L’uomo era deceduto nel 2008 dopo una caduta da oltre due metri in uno spazio verde pubblico. La Corte d’Appello: «L’ordine di servizio non è riconducibile al primo cittadino ma al coordinatore dei servizi esterni»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
A marzo 2008 un operaio è morto nel comune di Falerna dopo essere caduto da un’altezza di oltre due metri mentre era dedito alla potatura di alcuni alberi. Da allora è stato avviato un procedimento che ha visto imputato l’allora sindaco di Falerna, Daniele Menniti, accusato di omicidio colposo per non aver assicurato che il lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute e per non aver fornito all’operaio i dispositivi di protezione individuale contro la caduta dall’alto.
Assoluzione dopo 16 anni
Dopo 16 anni la Corte d’Appello di Catanzaro ha assolto Daniele Menniti per non aver commesso il fatto. Non solo. I giudici – Antonio Battaglia presidente e Paola Ciriaco e Barbara Saccà a latere – hanno affermato nelle motivazioni della sentenza che, il giorno dell’incidente, l’operaio era stato adibito all’attività di potatura sulla base di un ordine di servizio firmato da altra persona, ovvero l’allora responsabile coordinatore dei servizi esterni del personale, G.M. Un ordine affisso alla porta del Comune e «in alcun modo» riconducibile al sindaco.
Una circostanza, questa, confermata anche da un dipendente comunale, presente il giorno dell'incidente, il quale ha dichiarato che l’ordine di servizio era a firma del coordinatore dei servizi esterni e responsabile dell’ufficio dei servizi del personale.
La svolta con la Cassazione
Un lungo e doloroso iter giudiziario, quello sulla morte dell’operaio, che ha visto la condanna del sindaco in primo e secondo grado. Solo davanti alla Corte di Cassazione la sentenza di condanna di Menniti, difeso nel frattempo dal professore Mario Murone, è stata annullata con rinvio.
Gli ermellini hanno rilevato che «la vittima il giorno dell’evento mortale aveva svolto l’attività di potatura degli alberi in esecuzione di un ordine di servizio stampato e affisso alla casa comunale, contenente l’elenco delle attività da svolgere e dei nomi dei lavoratori incaricati, sottoscritto» dal responsabile coordinatore dei servizi esterni del personale.
A questo punto la Suprema Corte ha rilevato l’esigenza di «un approfondimento istruttorio per accertare le modalità organizzative concrete dell’apparato comunale e la ripartizione delle funzioni tra i vari soggetti».
Dal primo grado all’appello bis
Nei primi due gradi di giudizio era stato affermato che la vittima - che era stata assunta dal Comune di Falerna come operatore addetto alla raccolta dei rifiuti solidi urbani e non aveva mai partecipato ad un corso per lo svolgimento dell’attività di potatura, né aveva ricevuto indicazioni sui rischi inerenti a quel tipo di attività - stava svolgendo attività di potatura degli alberi sulla base di un ordine di servizio stampato e affisso nella casa comunale sottoscritto dal coordinatore dei servizi esterni su disposizione del sindaco.
Ma nel corso dell’appello bis, con una rinnovata istruttoria dibattimentale, è stato accertato che il coordinatore dei servizi esterni «si occupava di organizzare i lavoratori per le attività che di volta in volta andavano eseguite sul territorio».
Ordine non riconducibile al sindaco
«Il giorno della caduta – scrive la Corte –, risulta che l’operaio sia stato adibito all’attività di potatura sulla base di un ordine di servizio a firma di M. G. affisso alla porta del Comune e che in alcun modo tale documento possa essere ricondotto al sindaco».
Si chiude così, dopo 16 anni, un tragico evento. Un triste epilogo, sia per chi ha affrontato anni di processi che per coloro non che potranno ottenere giustizia poiché è ormai prescritta la possibilità di un nuovo intervento giudiziario.