Tracce di Dna maschile sul volante e sulla leva del cambio nonché il racconto di una testimone che, nel giorno incriminato, lo colloca al posto di guida e non a quello del passeggero. Sono questi gli elementi che, nelle scorse ore, hanno convinto il gip Letizia Benigno a ritenere che, il 25 agosto del 2024, sia stato Mario Molinari a determinare l'incidente avvenuto a Lorica e costato la vita alla sua fidanzata Ilaria Mirabelli. L'ordinanza di custodia cautelare che, per il momento, lo costringe agli arresti domiciliari con l'accusa di omicidio stradale, fa leva proprio su questi due indizi. E il pericolo che possa rimettersi alla guida di un'auto, secondo il giudice, conferma l'esigenza di rinchiuderlo: non in carcere, come chiedeva la Procura, ma quantomeno tra le mura domestiche.

Com'è noto, Molinari sostiene invece che, quel giorno, al volante della sua Volkswagen Up, uscita di strada e ribaltatasi più volte, vi fosse proprio Ilaria. I due erano partiti da Cosenza diretti in Sila per trascorrere una giornata a Lorica insieme a una coppia di amici. Dopo il pranzo, erano saliti a bordo delle rispettive auto con la promessa di rivedersi alla stazione di servizio di Camigliatello, ma Ilaria e Mario non arriveranno mai all'appuntamento. A pochi chilometri da ristorante, in località Barracchelle, la loro vettura esce di strada, si ribalta più volte e, in quei momenti drammatici, il corpo di Ilaria viene sbalzato fuori dall'abitacolo; la rottura di tre costole determina poi un'emorragia interna che le sarà fatale.

Chi guidava? Molinari sostiene di averlo fatto durante il viaggio d'andata; al ritorno, però, dice di aver ceduto il posto a Ilaria perché le sue condizioni non erano ottimali. Su quest'ultimo aspetto, c'è da credergli: le analisi confermeranno che oltre all'alcol, aveva consumato anche un po' di cocaina. E allora chi guidava? Secondo Molinari, quella Volkswagen era stata in uso a Ilaria anche nei giorni precedenti alla tragedia dato che il suo era in riparazione. Tuttavia, sul volante e sul cambio c'erano tracce biomolecolari compatibili con quelle della donna, solo con quelle dell'indagato. Secondo il gip, è uno degli elementi forti a sostegno delle testi d'accusa.

L'altro è il racconto di una donna che, il 25 agosto, era seduta al tavolino di un locale distante pochi chilometri dal luogo dell'incidente. E da quella postazione, sostiene di aver visto l'auto con a bordo la coppia, sfrecciare davanti a lei a velocità molto sostenuta. Questa persona, non ha dubbi nell'indicare chi dei due fosse al posto di guida: c'era Molinari a suo dire, che quel giorno indossava una maglietta verde. Lo avrebbe riconosciuto in seguito dalle foto circolate in internet, in particolare per i suoi capelli brizzolati. Ai carabinieri che l'interroga, dirà: «Meno male che mi avete chiamato, stavo per andare in Procura a dire che non è vero che guidava lei».

È una testimonianza che si materializza il 7 settembre, tredici giorni dopo il dramma. E secondo la difesa è marchiata dall'inattendibilità. Non solo perché la maglietta che indossava l'indagato era azzurra, non verde; il riconoscimento dell'uomo al volante, nella prospettazione difensiva, sarebbe stato frutto di suggestioni e condizionamenti determinati dal tam tam innescatosi sui social, già nell'immediatezza, che voleva Molinari colpevole a prescindere, addirittura del reato di omicidio volontario. Illazioni a cui il giudice dedica qualche parola, salvo rintuzzare poi gli argomenti a discarico come «impossibili da condividere, almeno finché non emerga un elemento confutativo forte che al momento manca».

C'è però qualcuno che potrebbe colmare questa lacuna, un testimone – anzi, due – in grado di spiegare la dinamica dell'incidente, in particolare le ragioni per cui, quel pomeriggio, la Volkswagen esce di strada e finisce nella scarpata. Potrebbero, questi testimoni, sgombrare il campo da ogni dubbio anche su chi, in quel frangente, fosse davvero alla guida tra Molinari e la sfortunata Mirabelli. Potrebbero, ma almeno per il momento, non l'hanno fatto. Sono loro il tassello mancante a cui fa riferimento il giudice. Questa, però, è un'altra storia.