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Indaga la Dda di Reggio Calabria sul presunto suicidio di Giuseppina Pronestì, avvenuto a Laureana di Borrello il 29 marzo dello scorso anno. E’ quanto si evince dalle carte dell’operazione antimafia “Lex” contro i clan Chindamo-Ferrentino e Lamari. Un’inchiesta chiusa da qualche mese ma che continua a riservare diversi particolari inediti e colpi di scena. La donna era infatti la moglie Tonino Digiglio, 42 anni, arrestato con l’accusa di essere un affiliato di spicco del clan Ferrentino-Chindamo.
Le dichiarazioni del collaboratore Dimasi
Ma, soprattutto, il suo caso viene fuori dai recenti interrogatori del nuovo collaboratore di giustizia di Laureana, Giuseppe Dimasi, nello stesso verbale in cui il pm antimafia Giulia Pantano pone domande precise, ed in rapida successione, anche sulla scomparsa di Maria Chindamo, la commercialista ed imprenditrice di Laureana rapita e scomparsa nel maggio 2016 dinanzi la sua tenuta agricola di Limbadi. Una vicenda, quella di Giuseppina Pronestì, che - benché distante nel tempo e nel contesto mafioso - finisce per presentare diversi aspetti analoghi al suicidio di Tita Buccafusca, la moglie del boss di Nicotera e Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”, morta nel 2011 dopo aver ingerito acido muriatico e sul quale indaga la Dda di Catanzaro.
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Giuseppe Dimasi spiega al pm Giulia Pantano che i parenti di Giuseppina Pronestì ritenevano il marito Tonino Digiglio il “responsabile morale” del suicidio della moglie. Una circostanza che Giuseppe Dimasi avrebbe appreso da Marco Ferrentino, ritenuto al vertice dell’omonimo clan di Laureana di Borrello. “Poverino Tonino. Si trova in una situazione del cavolo che i parenti della moglie pensano che è successo per lui”. Queste quanto sarebbe stato detto da Marco Ferrentino a Giuseppe Dimasi. Quanto basta agli inquirenti per riannodare i fili su un suicidio al quale non hanno mai creduto.
g.b.