Quella del povero Salvatore, il senzatetto catanzarese ritrovato morto all’età di 60 anni in un fabbricato abbandonato a Giovino, potrebbe in apparenza sembrare la classica storia di un “invisibile”. Uno di quei racconti ad esempio proposti in prima serata sulle reti Mediaset - a cavallo tra il 2003 e il 2004 - dall’allora Iena Marco Berry, che da cronista d’assalto si era trasformato in attento osservatore e ascoltatore degli ultimi. Dei dimenticati, insomma. E per tanti motivi, non solo economici, si badi. Gente senza più nome e volto, scivolata ai… bordi della società da cui si era volontariamente allontanata o dalla quale era stata al contrario emarginata fino al punto di esserne esclusa in modo totale. La differenza con il caso che ha destato scalpore nel capoluogo è però sostanziale.

A partire dal tamtam social scatenatosi subito dopo che è giunta la notizia. Fatto che ha addirittura costretto i congiunti del povero Casaccio a chiedere tramite i loro avvocati, Domenico Chianese e Anselmo Mancuso, di non alimentare polemiche e soprattutto di non diffondere notizie prive di fondamento o speculazioni di vario genere. Altro che silenzio e indifferenza della comunità, quindi. Che conosceva lo scomparso, interrogandosi ora anche sul motivo per cui gli fosse toccata una simile sorte. E già, perché come spesso accade in una realtà di provincia qual è la dimensione della città dei Tre Colli se ne sono sentite, ancor di più lette su Fb, di cotte e di crude. Certo, lodevoli gli intenti di coloro che hanno dedicato allo sfortunato Salvatore (i cui ultimi anni di vita, perlomeno, erano il triste emblema di una condizione assai grama) un commosso pensiero, un ultimo saluto o persino un “coccodrillo” (nel gergo giornalistico un articolo commemorativo di un personaggio noto appena morto) degno della migliore firma di un quotidiano nazionale. Ma nella fattispecie si è forse esagerato.

Pochissimi, infatti, hanno centrato il cuore del problema, smarrendosi invece nella consueta voglia di protagonismo che la “tribuna virtuale” dei profili sulle piattaforme ha amplificato pure di fronte alla morte. Bravi dunque solo i volontari. Anzi, una in particolare che ha segnalato il caso del povero Casaccio alle autorità competenti affinché intervenissero alla svelta. Inequivocabile il suo merito nel documentare, anche in forma brutale, la situazione di un uomo che dormiva in una roulotte dismessa. Punto. Il resto sono chiacchiere, che fatte a posteriori risultano ancor più vuote e utili unicamente a tacitare la coscienza o ad “apparire”.

Bene quindi ha fatto chi si è astenuto dal commentare o si è al massimo limitato a recitare una preghiera in suffragio di Salvatore. Che, è bene ribadirlo a più riprese, non era affatto uno delle migliaia di invisibili, come premesso “portati in scena” da Berry - una volta tanto in una luce positiva, perché quantomeno per un po’ strappati all’oblio - circa 18 anni fa. E questo lo affermiamo senza tema di smentita, considerato come Casaccio lo conoscessero e ci parlassero in parecchi, forse però interessati al “personaggio” - con cui fare di tanto in tanto quattro risate – e non alla persona vittima di gravi problemi celati per orgoglio e dignità.

Salvatore, del resto, non si presentava maleodorante o ubriaco e vestito di stracci come purtroppo capita alla maggior parte dei clochard. Si spostava in città con gli autobus pubblici, talvolta fumava. Cantava persino, in qualche locale. Ma mai nessuno, eccetto un paio di conoscenti, che gli abbia chiesto: «Ti serve aiuto?».
Ecco il motivo per cui adesso è meglio che si taccia, come ha peraltro chiesto la famiglia. Mentre a chi di dovere, fra cui i giornalisti, resta il compito di porsi almeno una domanda. Si tratta del quesito inerente alla motivazione per cui chi fosse deputato a prendersene cura, giuridicamente preposto a farlo, non si sia attivato magari per fargli percepire, non risultando che avesse fonti di guadagno stabile, dei mezzi di sostentamento quali ad esempio un “banale” reddito di cittadinanza?