VIDEO | Manifestazioni in tutta Italia. E intanto si allunga sempre più l'elenco delle vittime dietro le sbarre: nelle ultime ore un palestinese si è tolto la vita in cella a Milano
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Morire di carcere e in carcere. Anche la Calabria si mobilita nell’ambito della iniziativa indetta in tutta Italia dalla Conferenza nazionale dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, per richiamare l’attenzione sul drammatico fenomeno dei suicidi in carcere. Momenti di riflessione si sono svolti nelle città di Catanzaro, Crotone, Palmi e Reggio Calabria. A quello di Cosenza, organizzato davanti al Palazzo di Giustizia, ha preso parte il Garante regionale Luca Muglia.
Un altro decesso
Su impulso della Camera Penale del capoluogo bruzio, da qualche tempo all’ingresso del tribunale campeggia un macabro contatore, un manifesto aggiornato quotidianamente che riporta il numero delle persone che si sono tolte la vita dall’inizio dell’anno. 31 quelle registrate fino a alla mattinata di oggi, 18 aprile, quando si è svolta la manifestazione. Nel pomeriggio poi, è giunta notizia di una ulteriore vittima, un palestinese deceduto in cella a Milano, che ha così portato il conteggio a quota 32. Luca Muglia ha inoltre ricordato pure i nomi dei quattro agenti di polizia penitenziaria anch’essi morti per suicidio in questo primo scorcio dell’anno, uno dei quali impiegato nella casa circondariale proprio di Cosenza. La manifestazione è poi proseguita nella Biblioteca Arnoni dell’ordine degli avvocati di Cosenza.
Tragedie quotidiane
32 mila le persone detenute con una pena residua inferiore ai cinque anni, nella maggior parte dei casi inferiore anche ai due anni e quindi candidabili al beneficio delle misure alternative. «Una scia di sangue alla quale non si riesce a trovare rimedio – ha affermato il garante regionale della Calabria – riconducibile a diversi elementi critici: patologie psichiatriche, sovraffollamento, carenza di organici. Tutte circostanze che incidono fortemente sul dilagare del fenomeno». Muglia ha poi osservato come le tragedie riguardino «soggetti durante i primi sei mesi di detenzione, spesso una prima detenzione. Oppure persone vicine all’espiazione della pena, che scelgono la strada del suicidio poche settimane prima di essere rilasciate. Testimonianza di un disagio diffuso tra coloro che all’esterno degli istituti penitenziari non intravedono l’opportunità di rifarsi una vita, né uno spiraglio di reinserimento sociale».
Amnistia e indulto
La presidente del foro di Cosenza, Ornella Nucci ha ribadito come il ruolo dell’avvocatura è quello di «mettere un argine e richiamare tutti i poteri legislativi ad attenzionare la problematica. Noi dobbiamo essere le sentinelle sul territorio e fungere da pungolo per le forze politiche. Mi pare però – ha sottolineato – che all’interno delle istituzioni le riforme che si intendono adottare intervengono tutte a valle del fenomeno e non a monte, quindi senza incidere sull’organizzazione del sistema carcerario. Forse ancora non tutti hanno piena consapevolezza del fatto che ci troviamo di fronte ad una emergenza dai contorni gravissimi. Ed in questo contesto l’unica cosa seria è quella di varare un provvedimento di amnistia ed indulto».
Sulla stessa linea il presidente della Camera Penale di Cosenza Roberto Le Pera: «Questa è una lotta per i diritti costituzionali delle persone. La detenzione in queste condizioni è incostituzionale, diventa una condanna alla pena di morte. Lo Stato deve prendere consapevolezza di aver fallito nell’applicazione dei principi dettati dal terzo comma dell’articolo 27 che testualmente recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il segno della resa non può essere che l’amnistia o l’indulto. Provvedimenti non più rinviabili che non equivalgono a dare una patente di legalità alla illegalità. In queste condizioni applicare l’amnistia e l’indulto significa applicare i principi dello Stato di diritto».