Giuseppe Pilato era capace di intendere e di volere quando ha assassinato la moglie Mary Cirillo, ma il delitto non è stato premeditato. È quanto si desume dalle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello reggina, nel novembre scorso, ha annullato l’ergastolo, comminato in primo grado, al giovane per l’omicidio della giovane consorte di perpetrato a Monasterace nel 2014. I giudici di piazza Castello infatti, hanno rideterminato la nei confronti dell’imputato a 26 anni di reclusione in quanto- oltre a riconoscere le attenuanti generiche- hanno escluso l’aggravante della premeditazione.

La confessione

Nel dettaglio, la Corte d’Assise d’Appello osserva come «gli elementi ricavabili dagli atti processuali se appaiono certamente idonei a dimostrare - in base alle modalità di consumazione del delitto ed al comportamento tenuto nella circostanza dall’imputato durante il medesimo e successivamente - che non si sia trattato di un reato d’impeto ma vi sia stata lucida preordinazione dello stesso, non consentono tuttavia di desumere con sufficiente grado di certezza che il proposito criminoso sia insorto e sedimentato nella psiche dell’imputato per un apprezzabile lasso temporale fino al momento dell’attuazione dello stesso». Pur avendo Pilato ammesso, durante il giudizio di appello, di essere effettivamente stato l’autore dell'omicidio, per i togati reggini «ha fornito una descrizione dell'accaduto in termini che appaiono decisamente inverosimili alla luce dei dati obiettivi ricavabili dagli atti». Il commerciante, dopo avere ucciso la moglie nell'appartamento della coppia, si diede alla fuga e si costituì ai carabinieri qualche giorno dopo il delitto.

 

Il movente

Movente dell'omicidio, secondo quanto è emerso dalle indagini, la gelosia di Pilato, a cause della quale erano frequenti le liti con la moglie. «In un contesto nel quale era evidente la preoccupazione manifestata da Mary per la situazione di estrema tensione creatasi con il marito e dimostrata tanto dalla richiesta alla figlia di lasciare in casa le chiavi quanto dai tentativi affannosi di mettersi in contatto con il prof. Nicotera che ava in cura il Pilato – annota la Corte - la donna potesse rivelare al coniuge che era sua intenzione abbandonarlo per un altro uomo, trasferirsi all’estero e sottrargli pure i figli, provocandone l'inevitabile reazione. Si ritiene, dunque, tuttora assolutamente convincente la tesi che il Pilato si sia introdotto surrettiziamente in casa attraverso i pannelli di alluminio costeggianti la rampa delle scale collegati ai balconi degli appartamenti (che davano sulla strada e che nel caso dell’abitazione della donna corrispondente ai vani cucina e salone formanti unico ambiente e posti in prossimità dell'ingresso) e che l'omicidio della donna sia stato immediatamente compiuto dinanzi alla porta d'ingresso esplodendole due colpi di pistola al capo (ben strano sarebbe stato, infatti, anche che il Pilato continuasse a detenere l’arma in quella casa. da cui si era allontanato dopo la separazione di fatto)».

Per i giudici di piazza Castello «anche la frase che il marito le avrebbe rivolto nei giorni precedenti riferita da Mary alla propria madre (“io ti perseguiterò sempre ed ovunque, non ti darò mai pace, sarai mia o di nessun altro”), se certamente indicativa di un comportamento insopportabilmente ossessivo e condizionante e giustamente capace di ingenerare forti preoccupazioni nella vittima non assume tuttavia un carattere univoco di deliberata volontà di uccidere la moglie e, peraltro, come detto, si inquadra in un tumultuoso succedersi di sentimenti e spinte contrastanti che si agitano nell’animo del Pilato, che proprio per la loro continua contraddittorietà, contrastano con il quadro caratterizzante il delitto premeditato nel quale alla fase calda dell’insorgere del proposito subentra la fredda determinazione, perdurante nel tempo, di darvi attuazione».

L'arma del delitto

Dalla Corte d’Assise d’Appello reggina per il commerciante è arrivata anche l’assoluzione dai reati di violenza sessuale e di porto e detenzione d’arma. «Non vi è prova – motivano i giudici - che l'arma sia stata acquistata o ricevuta al fine di commettere l’omicidio della moglie e che l’esclusione di elementi denotanti un delitto d'impeto paiono certamente idonei ad evidenziare la preordinazione dell’omicidio e la lucidità con la quale esso e stato portato a compimento ma di per sé non possono fare concludere con margini di tranquillante certezza che il proposito criminoso fosse risalente nel tempo e che esso sia stato mantenuto fermo nell‘animo dell'imputato fino a quando non ravvisò le condizioni idonee per realizzarlo».

La capacità di intendere e volere

I togati reggini, infine, non sembrano avere dubbi sulla capacità di intendere e di volere di Pilato. «Tutti gli elementi emersi – osservano i giudici - inducono con tranquillante certezza ad affermare che l’omicidio sia stato compiuto da Giuseppe Pilato in uno stato di piena consapevolezza e lucidità mentale. L’imputato. dopo avere in passato dimostrato capacita di dissimulare con freddezza ed abilità la propria responsabilità in merito all'omicidio (tanto da trarre in inganno anche un consulente della difesa) ha in appello dapprima negato nuovamente la propria responsabilità senza tentennamenti e, dopo tre giorni, ha ammesso i fatti, rievocandoli in modo lucido e senza mostrare particolare emozioni. Tutto il comportamento di Giuseppe Pilato, cosi come desumibile dai fatti concreti e dalle indagini esperite, si caratterizza in termini di organizzazione, efficacia sul piano criminale ed abilita nell’evitare di lasciare tracce compromettenti, pur essendosi svolto in un arco temporale assai circoscritto. La scena del crimine si presenta come quella di una fredda esecuzione, posta in essere con due colpi esplosi al volto della vittima da breve distanza e non certo come un’esplosione incontrollata di rabbia o come esito di un litigio e di una lotta tra i coniugi. In quella circostanza Pilato ha la freddezza di evitare di lasciare tracce, di prelevare le chiavi di casa, di prendersi cura del figlio e condurlo a casa dei genitori, senza mai farsi prendere dall’ansia e dalla paura, di portare con se l‘arma ed occultarla o gettarla via, di allontanarsi poi e di nascondersi, facendo perdere le proprie tracce fino al momento in cui decide di costituirsi».

 

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