Filippo si agita, cammina nervosamente, urla e pronuncia quelle che sembrerebbero delle frasi, ma del tutto incomprensibili. La sua casa, che si trova isolata in una zona collinare, è grande ma vuota. Nell'ampio soggiorno non ci sono quadri, non si sono oggetti in bella vista, non ci sono neppure i mobili, perché Filippo non ha il senso del pericolo e ogni cosa, anche la più insignificante, per lui potrebbe diventare fatale. Il piccolo, che a maggio compirà otto anni e frequenta la seconda classe delle scuole elementari di Acquappesa, è affetto da una forma grave di autismo, aggravata dall'indifferenza di una società che si preoccupa ancora troppo poco delle persone costrette a vivere quotidianamente in condizioni di forte disagio.

«Non ha più l'educatore professionale a scuola»

Sua madre è venuta in Italia qualche anno fa dall'est Europa e molto spesso, dice, qualcuno glielo fa notare, con un velatissimo tono discriminatorio. «Spesso mi sono sentita dire che le mie parole non avevano valore - dice alla nostra redazione -. Sono straniera, che vado trovando? Non posso avere la pretesa di difendere i diritti di mio figlio». Perché di diritti, suo figlio, se ne vede riconosciuti ben pochi. Non ha l'assistenza domiciliare, non ci sono fondi, e non può usufruire delle terapie Aba, quelle specifiche per ridurre il comportamento disfunzionale, perché in zona non ci sono presidi pubblici convenzionati e le cure della sanità privata sono troppo costose, la sua famiglia non se lo può permettere.

Da quest'anno Filippo non ha nemmeno l'assistenza scolastica educativa, di cui dovrebbe essere incaricata un'apposita figura professionale. Ha invece una insegnante di sostegno, che sembrerebbe non avere nessuna qualifica particolare, e per giunta, quando questa si assenta, non c'è nessuno a sostituirla. Così, Filippo rimane senza alcun controllo, mettendo a repentaglio la sua salute e quella dei suoi compagni. Inutile andare a chiedere spiegazioni a scuola, quello che si può fare si starebbe già facendo, per il resto bisogna arrangiarsi: siamo in Calabria.

«Voglio sapere che mio figlio sta bene»

La donna, quasi rassegnata, ha chiesto almeno di poter andare di tanto in tanto a controllare di persona se suo figlio stia bene, ma le rigide regole sulle tutele dei bambini, le impediscono finanche di varcare la soglia dell'istituto. «Vivo costantemente in ansia - dice - temo che a mio figlio possa sempre accadere qualcosa. Se non ci sono fondi e lo Stato non mi garantisce la tutela di mio figlio, vorrei almeno occuparmene io».

«Il sindaco non mi ha ricevuta»

Avrebbe voluto raccontare il suo dramma al primo cittadino Giorgio Maritato e cercare di trovare insieme una soluzione, ma secondo il suo racconto, sarebbe stato impossibile incontrarlo in Comune. «Per fortuna un giorno ho visto un vostro servizio - dice ancora la mamma di Filippo - e sono venuta a conoscenza dell'associazione "Mamme indispensabili". Mi sono rivolta alla presidente Stella Marcone e sin da subito mi ha teso la mano, mi ha aiutata. Se in questi giorni provo una lieve sensazione di sollievo lo devo a lei». Marcone, infatti, si è fatta carico della denuncia della donna e la sta aiutando a inoltrare le richieste agli uffici preposti.

«Ancora una volta - dichiara ancora la donna - un diritto di mio figlio deve essere elemosinato. Non è giusto. Le famiglie di bambini disabili vivono già grossi disagi economici e psicologici, lo Stato dovrebbe renderci la vita più semplice e non complicarcela ancora di più. Ma io per mio figlio sono disposta a lottare comunque. Perché adesso, grazie a Stella, non siamo più soli».

L'inferno tra le mura di casa

L'autismo non è una malattia, è una condizione e pertanto non c'è cura e non ci sono farmaci che leniscano la sofferenza. Lo sa bene la donna, costretta a vivere in un posto isolato per non disturbare i vicini, barricata in casa. Le finestre sono legate con il fil di ferro, porte e balconi sono sigillati. «Quello che più mi addolora - conclude la donna - è che non riesco a capire le esigenze di mio figlio. Non parla, non comunica, non so se ha sonno, fame, sete. L'autismo toglie la dignità a chi ne soffre e a chi sta vicino». E per di più Stato e Regioni lasciano sole queste famiglie, per loro non ci sono mai fondi disponibili. Non come certe sagre a cinque zeri.