I magistrati chiedono di rivedere l'esito del processo Xenia: «Profili di responsabilità penale per l'amministrazione del Comune di Riace e per il sindaco»
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«Si evidenziano dati concreti da cui desumere profili di responsabilità penale» in capo alla amministrazione del Comune di Riace e in specie alla figura del sindaco Lucano, «nonché nei confronti dei responsabili delle associazioni (enti attuatori del programma di accoglienza e integrazione dei migranti secondo il progetto Sprar) con particolare riferimento a Fernando Antonio Capone, prestanome e braccio destro del sindaco Lucano». È uno dei passaggi chiave del ricorso con il quale la Procura generale di Reggio Calabria ha impugnato in Cassazione la sentenza emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di Lucano, tornato da pochi giorni primo cittadino del borgo della Locride e neo eletto parlamentare europeo. Lucano è stato assolto dai reati più gravi sulla gestione dei progetti di accoglienza ai migranti al tempo in cui era sindaco di Riace per il suo terzo mandato consecutivo, limitatamente alla parte in cui ha riqualificato i reati contestati sulla truffa aggravata e nella parte in cui ha assolto Lucano dal reato di falso. Diversi i punti che ad avviso della Procura Generale non sono stati correttamente valutati dai giudici di piazza Castello.
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In particolare – si legge nelle 33 pagine di ricorso firmato dall’avvocato generale Adriana Costabile e dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antono Giuttari – il provvedimento «risulta affetto da erronea applicazione degli artt. 266, 270, 271 cpp, e da contraddittorietà e illogicità della motivazione per aver ritenuto l’inutilizzabilità delle intercettazioni disposte con riferimento al reato di truffa aggravata; la Corte d’Appello, infatti, ha ritenuto – annota la procura generale reggina – sulla base di una verifica statica ancorata al momento genetico dell’intercettazione, siccome demandata al giudice, che non fossero presenti i presupposti di legge per disporre il mezzo di ricerca della prova, sulla scorta di una riqualificazione del reato operata solo nel secondo grado di giudizio (e che peraltro qui si contesta con il successivo motivo di gravame); la Corte d’appello – con motivazione del tutto illogica – non ha considerato che proprio nel caso in esame la captazione correttamente autorizzata, è stata disposta sul presupposto della esistenza di gravi indizi di reato e, pertanto, rimane del tutto insensibile al fisiologico sviluppo del procedimento, secondo il principio di diritto più volte espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità e, peraltro, astrattamente richiamato nella stessa sentenza che qui si chiede di cassare». Continua a leggere su IlReggino.it