Il recente naufragio del veliero di lusso Bayesian, al largo di Porticello nel palermitano, la morte di sette persone delle ventidue a bordo, a distanza di una settimana, a ragion veduta apre ancora telegiornali e occupa le home page delle testate on line. Non c’è solo la tragedia della morte di sette persone ma ci sono anche tutti i dubbi e i misteri su cui ancora indaga la procura di Termini Imerese, impegnata ad accertare la precisa dinamica di fatti e comportamenti. Dunque prosegue la ricerca di una verità che è anche una risposta in termini di giustizia per chi non è sopravvissuto. Questo accade perché è giusto che accada. Perché questo è quanto deve accadere. Eppure non sempre accade.

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I naufragi ai quali anche solo una persona non sopravviva sono sempre una tragedia. Sempre. E tuttavia la percezione chiara di un rischio di assuefazione quando a naufragare siano migranti che restano senza nome è pari almeno a quella del rischio di discriminazione rispetto a fatti che sono sempre e comunque delle tragedie sulle quali far luce e sulle quali informare, sulle quali il livello di attenzione e interesse dell’opinione pubblica non dovrebbe essere variabile o misurabile.

Ci sono naufragi e naufragi...

Non tutti i naufragi sono uguali e purtroppo non tutte le vittime hanno diritto alla giustizia, non tutti gli affondamenti alla verità. Quando le vittime restano senza nome pare quasi più giustificabile, ed invece non dovrebbe esserlo mai, consentire che il silenzio e l’indifferenza completino l’opera di un destino iniquo e tragico. Prende il sopravvento una sorta di forza auto assolutoria che velocizza il processo di rimozione di un fatto di cronaca dalla realtà storica, mediatica e processuale. Una rimozione complessiva che deriva direttamente dalla rimozione dalla nostra coscienza.

Eppure il mare che inghiottisce è sempre lo stesso. Il mare Mediterraneo solcato da turisti, che si allontanano da casa con l’intento di viaggiare e vivere nuove esperienze per poi di ritornarvi, e dai migranti che lasciano la loro casa con l’intento di cercare altrove la possibilità di una vita e forse di non ritornarvi mai più. Ma non è questo il punto. Non si tratta di instillare una stucchevole e momentanea pietà ma di ammettere che la questione è di pura giustizia e dunque di dignità. Invece la storia che già stiamo scrivendo è ormai troppo spesso infedele a quella dignità inviolabile (solo a parole) e alla nostra stessa umanità.

Il naufragio silente di Roccella

Lo scorso giugno al largo di Roccella, lungo la costa ionica reggina, in un naufragio hanno perso la vita decine e decine di migranti, molti dei quali rimasti senza nome. Rimaste ignote anche molte delle salme delle vittime recuperate. Un naufragio seguito all’immane tragedia di Cutro dello scorso anno e i naufragi nel canale di Sicilia e al largo di Lampedusa di un decennio fa. Parliamo dei naufragi noti perché nessuno sarà mai in grado di definire la mole di questa immane e silenziosa tragedia in atto nel Mediterraneo.

Ma il naufragio di Roccella è rimasto silente, frammentato nelle informazioni rese dalle autorità competenti e nella destinazione di superstiti e salme.