VIDEO | Oltre un migliaio di persone sbarcate in Calabria in pochi giorni: il racconto del dottore impegnato nei porti calabresi dal 2015. Intanto la città dello Stretto è ancora senza una struttura di prima accoglienza
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«Crotone, Bova Marina, Bagnara per la prima volta, Roccella, poi ancora Roccella e infine Reggio. Sono stanco ma soddisfatto perché sono profondamente convinto che salvare in mare queste persone e curarle sia un loro diritto e un dovere di ogni popolo civile». Vincenzo Romeo, medico della Croce Rossa che ha risposto presente all'appello quando si era alla ricerca di chi curasse al porto i migranti approdati in condizioni spesso disperate, in questi ultimi giorni ha percorso in lungo e in largo la Calabria, inseguendo gli approdi estremamente ravvicinati susseguitisi sulle coste joniche.
Soccorrere il prossimo in fuga
Medico di base di Reggio Calabria, con alle spalle una grande esperienze nella Guardia medica, nel 2015 ha fatto la scelta di soccorrere nei punti di approdo persone in fuga dal loro Paese. «Ho iniziato per caso. Dando la mia disponibilità per uno sbarco. Poi ho continuato ritenendolo un dovere preciso al quale adempiere, essendo convinto che queste persone abbiano diritto di essere accolte e aiutate, adesso senza indugio e tentennamento», ha raccontato Vincenzo Romeo che, conla collega Giusy Russo, presta servizio in tutta la Calabria presso l'Usmaf, Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera dipendente dal Ministero della Salute. Due medici soltanto per un'attività impegnativa, anche dal punto di vista emotivo, che in periodi come questo riserva pure un notevole sovraccarico.
Da Crotone a Reggio Calabria
Reduce dagli sbarchi susseguitisi nei giorni scorsi lungo le coste joniche calabresi, Enzo Romeo era anche al porto di Reggio per prestare le prime cure ai 56 giovani migranti, approdati sabato pomeriggio dopo essere stati soccorsi al largo di Capo Spartivento, nelle acque ioniche reggine, dalla Guardia di Finanza, ed essere stati condotti al porto di Reggio, da tempo non più attrezzato per l’accoglienza. In questa occasione mancavano anche i bagni chimici. Di nazionalità pakistana, afghana ed egiziana e qualcuno del Bangladesh, i migranti erano prevalentemente uomini. Solo tre le donne e tredici minori.
Sul posto con le forze dell'ordine, Croce Rossa, che ha somministrato i tamponi, Protezione civile, Guardie faunistiche ambientali e volontari del Coordinamento diocesano sbarchi. Il triage sanitario avviato al porto è stato poi completato sotto la tribuna dello stadio Oreste Granillo, dove la Questura ha proceduto con le attività di identificazione. I migranti hanno poi trascorso la notte nell'adiacente impianto sportivo noto come Palloncino, dove sono stati distribuiti i pasti ed è arrivato anche l'assessore comunale alla Protezione Civile, Rocco Albanese.
La rotta turca
Le condizioni dei migranti che attualmente arrivano seguendo la rotta turca, sono sempre da attenzionare ma la situazione è molto diversa rispetto ad alcuni anni fa quando i migranti approdati a Reggio passavano prima dalla Libia, seguendo la rotta sub sahariana. I ricordi di allora di Vincenzo Romeo sono lucidi e drammatici. «Pensavamo che esagerassero nei loro racconti per poter essere ritenuti in pericolo e poter restare in Italia, invece visitandoli e leggendo i loro corpi, i segni che vedevamo ci facevano ricredere. Delle torture, delle violenze e dei maltrattamenti di cui raccontavano erano realmente stati vittime. Ricordo in particolare il corpo di un giovane segnato dalle ustioni di cavi elettrici e le tante ragazze stuprate, rimaste incinte e che poi erano andate incontro ad aborti proprio durante le traversate. Un'odissea di dolore inimmaginabile della quale, se non avessimo sentito i loro drammatici racconti, non avremmo concepito le reali proporzioni. Non possiamo voltarci dall'altra parte», ha ribadito il medico.
«Le persone che stiamo incontrando adesso, di origine pachistana, afghana, egiziana, iraniana, palestinese, bengalese, sono intanto molto giovani e provengono comunque da contesti diversi per quanto sempre drammatici. Qualcuno arriva con qualche frattura causata forse da manganellate e percosse. La rotta turca ha, infatti, delle altre caratteristiche. Ciò che ancora riscontriamo sono i casi di scabbia che si curano istantaneamente, con un trattamento che si somministra sul momento. Ciò che non cambia è una condizione di vita dalla quale fuggire, mettendo la propria vita nella mani dei trafficanti e rischiando di morire in mare», ha sottolineato ancora Vincenzo Romeo, che ha definito gli sbarchi di questo frangente storico particolarmente imprevedibili.
«Negli anni scorsi, la mediazione in mare aperto delle navi della Ong, con a bordo personale sanitario di Emergency e Medici senza Frontiere, garantiva un approccio sanitario più consapevole al porto. Io ero in costante contatto con i medici a bordo e già sapevo in quali condizioni particolari, più o meno gravi, i migranti sarebbero arrivati. Adesso, ogni volta, non sappiamo cosa ci aspetti», ha spiegato ancora Vincenzo Romeo.
Nessun allarme Covid
Sul fronte sanitario la situazione è, dunque, sotto controllo nonostante il Covid non sia ancora stato debellato. «I casi di positività sono pochi e la procedura di controllo messa in atto dal momento dell'approdo è molto sicura. Si somministra subito il tampone molecolare. All'esito, che arriva a stretto giro, le persone risultate positive, in occasione di questo sbarco solo due, vengono isolate e trasportate dalla Croce Rossa sulle navi quarantena che tra Calabria e Sicilia sono tre», ha concluso Vincenzo Romeo.
Reggio senza struttura di prima accoglienza
La recente intensa ondata di sbarchi ha condotto in Calabria, negli ultimi giorni, oltre mille migranti. La città dello Stretto ancora fatica a predisporre delle strutture di prima accoglienza. Il coordinamento della prefettura, l'impegno delle forze dell'ordine, dello staff medico (due sole unità tra dottore e personale infermieristico in ogni sbarco), di tutti gli operatori e i volontari, del Comune che fornisce i pasti, resta fondamentale e decisivo per portare a termine tutte le operazioni ma mancano le strutture che rendano l'accoglienza più fluida e meno disagevole.
Mentre sono state definite con il Viminale misure più incisive (una tensostruttura, una nave per la quarantena e la ristrutturazione di un immobile per la prima accoglienza) che riguarderanno il comune di Roccella Jonica, particolarmente esposto ad approdi nelle ultime ore come negli ultimi mesi, a Reggio, anche in questa occasione, i presidi di prima accoglienza sono stati allestiti sul momento tanto al porto per avviare il triage sanitario quanto dentro gli impianti sportivi per il pernottamento. Per via degli impegni sportivi in corso al Palloncino - si è potuto accedere per predisporre le brandine solo al termine di una partita di volley - e allo stadio Oreste Granillo dove per la partita della Reggina contro il Parma erano attesi oltre settemila tifosi, vi è stato un iniziale clima di incertezza su dove i migranti dovessero essere condotti. Già nel primo pomeriggio, a bordo di pullman sono stati tutti trasferiti.
Una situazione che, dunque, continua ad essere gestita in emergenza e che fa i conti anche con criticità indipendenti, pregresse e irrisolte, che in circostanze come questa si ripropongono come è accaduto oggi per il sistema delle fognature dello stesso Palloncino, che non reggendo il carico ha prodotto delle sgradevoli fuoriuscite di liquido.
Le soluzioni del Comune di Reggio
Già nelle scorse settimane il Comune di Reggio Calabria aveva chiesto e ottenuto un tavolo in Prefettura per fare il punto sugli sbarchi di migranti e aveva annunciato l'istituzione di un presidio operativo per la gestione della primissima accoglienza che però, sulla scorta dell'ultimo sbarco, non ha prodotto i risultati sperati.
«Stiamo lavorando per allestire, su un terreno comunale, i venti moduli che, su proposta del Ministero dell'Interno, abbiamo accettato di ricevere tramite la prefettura. Tale struttura - ha spiegato l'assessore alla Protezione civile Rocco Albanese - avrà una capienza di oltre duecento posti in modo da organizzare lì sul posto tutte le attività di accoglienza, non solo la permanenza temporanea e il pernottamento. La banchina del porto non sarà infatti più utilizzabile per espletare tutte le operazioni necessarie. L'autorità portuale messinese non ha autorizzato, infatti, alcuna struttura fissa ma solo strutture removibili, allestite all'occorrenza. Dunque dobbiamo organizzarci per fare tutto altrove. In attesa che questi moduli possano essere montati, abbiamo individuato degli alloggi popolari già agibili che potremmo adibire alla prima accoglienza con una capienza di settanta-ottanta persone. I locali sono già muniti di luce, acqua e allacci fognari. Vanno solo puliti», ha spiegato l'assessore Rocco Albanese.