Dall’operazione che ha disarticolato l’organizzazione criminale in Lombardia emerge come molti si rivolgessero ai presunti capi mafiosi per risolvere dissidi di vicinato o recuperare beni rubati. Dinamiche che rafforzavano il controllo del territorio
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Giravano in auto continuamente per le vie di Rho i presunti capi della Locale alla periferia di Milano (ri)scoperta lunedì dalla distrettuale antimafia del capoluogo lombardo. Pattugliamenti serrati tra i palazzoni di case popolari e le attività commerciali del territorio: dovevano farsi vedere, la gente del quartiere doveva sapere che i boss erano usciti dal carcere e di nuovo operativi. «C’è sempre la mano della ‘ndrangheta a Rho – dice intercettato Gaetano Bandiera vantandosi con un sodale del rientro in affari della cosca “spuria” – è tornata la legge della ‘ndrangheta».
La protezione chiesta ai Bandiera
Una presenza costante sul territorio per “marcarlo” ed evitare l’ingerenza di altre realtà criminali nello spaccio di droga e nei taglieggiamenti a negozi e imprese. Rho viene considerato dai presunti associati alla cosca, come “feudo” legittimo dove esercitare il proprio potere. Anche garantendo aiuto e protezione a chi, e non sono pochi quelli venuti fuori attraverso le indagini, preferiva rivolgersi al boss per risolvere eventuali problemi o contrasti nati nel sottobosco della malavita cittadina. Che fosse la paura di una denuncia per un furto commesso, o la rabbia per le continue truffe agli anziani compiute da un malacarne nella zona, o ancora il timore di vedersi incendiata l’auto da un vicino di casa, alcuni cittadini del quartiere non avevano esitato a rivolgersi ai Bandiera per appianare le cose.
Come nel caso di Antonino Spadaro, pregiudicato del quartiere che contatta Cristian Bandiera per chiedergli protezione per il figlio. Qualche giorno prima infatti il ragazzo aveva rubato una costosa bicicletta alla persona sbagliata: un ultras con diversi precedenti alle spalle che aveva rintracciato l’autore del furto e dopo averlo schiaffeggiato aveva chiesto un risarcimento. Siamo a luglio del 2020 e dopo avere raccolto la “denuncia” di Spadaro, Bandiera si mette all’opera chiamando direttamente il derubato. «Ascolta un attimo – dice Bandiera al telefono – non toccare il ragazzo, specialmente Kevin, perché sennò succede un casino… succede un casino veramente. Io sono quello del Brigante di Rho, quello dove c’è stato un omicidio, sono un carcerato e sto pagando 24 anni, magari tu mi conosci». Minacce dirette che però non avevano convinto l’uomo a desistere dal chiedere un risarcimento per la bici rubata. «A me mi conoscono tutti a Pogliano, puoi chiedere chi sono» ribadisce ancora Bandiera che, chiuso il telefono, tranquillizzava l’amico che gli aveva chiesto aiuto dicendogli che gli avrebbe mandato direttamente un noto pregiudicato del quartiere anche lui appena uscito di galera per appianare la situazione e ridurre il derubato a più miti consigli: «andrà a dargli due schiaffi».
Le richieste di “protezione” alla famiglia Bandiera sono comunque piuttosto comuni tra gli abitanti di un quartiere decisamente complicato come quello di Rho. Come nel caso di “Lina”, una donna che vive nello stesso palazzo di edilizia popolare abitato dai presunti boss e che dopo un litigio con un altro condomino gli si rivolge per chiedere aiuto. Qualcuno nel palazzo, a causa del litigio, vuole distruggere l’auto del figlio Marco. Sarà l’intervento diretto di Cristian Bandiera a impedire il danneggiamento. «Stava pagando una persona per fargli rompere tutta la macchina a Marco – dice intercettato il presunto boss – stava pagando… io l’ho fermato e gli ho detto: ascolta un attimo quello là, ci siamo cresciuti insieme, se gli succede qualcosa alla macchina… è meglio che te ne vai… perché te ne devi proprio andare da qui».