La testimonianza

«Maysoon non è una scafista e voi dimenticate cosa vuol dire vivere in Iran»: il monito dell’attivista nel processo a Crotone

L’appello accorato della scrittrice Pegah Moshir Pour nel giorno in cui il Tribunale ha deciso di lasciare in carcere Majidi: «È in cella da 7 mesi per accuse che lasciano sbigottiti»

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di Procolo Guida
25 luglio 2024
10:19
Nel riquadro Pegah Moshir Pour
Nel riquadro Pegah Moshir Pour

«Quello che vuole fare questo governo, è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terraqueo» furono le parole della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella conferenza stampa dopo la seduta del Consiglio dei Ministri riunito giovedì 9 marzo 2023, presso l’aula consiliare del comune di Cutro per presentare il decreto-legge che introdusse disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare. Era la prima, e per molti comunque tardiva, risposta del governo dopo la strage di Steccato di Cutro del 26 febbraio precedente, dove morirono almeno 94 migranti fra cui 35 minori.

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Ed ecco che, tra molti altri, arriva a fine annus horribilis l’ennesimo sbarco, questa volta a Gabella ma sempre in provincia di Crotone, con 77 persone “accolte” dalla Guardia di Finanza che arresta Maysoon Majidi accusandola di essere la presunta scafista di quello sbarco del 31 dicembre. Peccato che per il regime di Teheran è persona non gradita perché la 27enne (tra pochi giorni ne compirà 28 nel carcere di Reggio Calabria), è una curda che da regista ed attrice, è attivista per i diritti umani in Iran. La sua incredibile storia, ancora più incredibilmente sommabile a quella di un’altra iraniana,


Marijan Jamali approdata a Roccella nell’ottobre precedente, assurge alle cronache nazionali grazie alla collega Lidia Ginestra Giuffrida che descrive come donne che scappando dalle persecuzioni (anche familiari come nel caso della Jamali che trascina anche il suo piccolo di 8 anni), dopo aver dovuto subire abusi a bordo in disperati viaggi, arrivino ad essere accusate ed imprigionate a causa di leggi come il Decreto Cutro e il Decreto Piantedosi e lo stesso articolo 12 del Testo Unico Immigrazione.

Ieri, dopo che nello scorso giugno Marijan Jamali era almeno riuscita ad ottenere i domiciliari dal tribunale di Locri per ricongiungersi con il suo piccolo, si è svolta la prima udienza del processo contro Maysoon Majidi presso il tribunale di Crotone di fronte al presidente Eduardo D’Ambrosio che, “confortato” dal parere della pm Rosaria Multari, ha rigettato la richiesta di domiciliari avanzata dalla difesa dell’avvocato Giancarlo Liberati che dovrà attendere le prossime udienze fissate, a raffica, ma solo dal prossimo 18 settembre (a seguire si terranno quelle del 1 ottobre, del 22 ottobre e del 5 novembre).

In aula, e non solo, c’è stato anche l’appassionato contributo di Pegah Moshir Pour nella funzione di interprete. La nota scrittrice ed attivista iraniana, che vive in Italia da quando aveva 9 anni, è in dolce attesa con il parto previsto proprio nella metà del prossimo settembre. «Mi dispiace che in aula c’è chi si sia dimenticato cosa voglia dire vivere in Iran, soprattutto per noi donne» ha sottolineato l’autrice di “La notte sopra Teheran” catapultata alle cronache nazionali ed internazionali dopo la sentita partecipazione a Sanremo 2023 assieme a Drusilla Foer per rilanciare le lotte per i diritti umani issate dopo il sacrificio di Mahsa Amini.

«Non si è contestualizzato nemmeno da dove partisse Maysoon - aggiunge ai microfoni de LaC Pegah Moshir Pour, più volte accolta e applaudita anche dal presidente Mattarella – sono ancora provata anche io per queste assurde accuse per cui ho provato a tradurre lo sbigottimento, ma mi rendo conto che c’è un’assenza emotiva che non tengono conto nemmeno delle evidenti traduzioni sbagliate trascritte agli atti all’inizio con errori ed errori che questa donna sta pagando in carcere».

La scrittrice residente in Basilicata accorsa a testimoniare concretamente solidarietà ha infine sottolineato come «sono sette mesi che Maysoon è in carcere, provata non solo dallo sciopero della fame, ma è determinata a provare la verità che ha cercato anche di esprimere in italiano».

A compendio della cronaca di ieri ci sono da registrare le molto sentite e partecipate dimostrazioni di solidarietà e sostegno di tante associazioni provenienti anche da fuori provincia, accompagnate dalla presenza anche in aula del consigliere regionale Ferdinando Laghi, che però sembrano ancora inermi di fronte all’offensiva politico istituzionale che trova molte più sponde a livello europeo e mondiale.

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