Ben 88 persone morirono travolti da una valanga di ghiaccio e detriti mentre lavoravano nella costruzione di una diga in Svizzera. Diversi provenivano da San Giovanni in Fiore. Una tragedia dell’emigrazione e del lavoro avvenuta nell’agosto del 1965
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Era la fine di agosto del 1965. Tra i lavoratori seppelliti da una montagna di ghiaccio, c'erano 56 italiani. E tra questi anche 7 calabresi, tutti di San Giovanni in Fiore, che di lavoratori in Svizzera ne aveva già spedito almeno 3 mila in quei primi anni ‘60. I nomi di quei ragazzi che non sarebbero mai più tornati sono risuonati ieri sera nell’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore: Giuseppe Audia, Gaetano Cosentino, Fedele e Francesco Laratta, Bernardo Loria, Antonio Talerico, Salvatore Veltri.
La strage del '65
Quello che successe il 30 agosto 1965 “sembrava la fine del mondo”, come riferì un sopravvissuto. Poco prima della fine del turno, alle 17:20, un enorme pezzo del ghiacciaio Allalin si staccò dalla lingua formando una disastrosa valanga di ghiaccio e detriti – circa due milioni di metri cubi – che investì le baracche, le officine e la mensa del cantiere di Mattmark. 88 persone morirono, 11 rimasero ferite. Una strage, ma altre sarebbero successe dopo, che uccise le speranze dei calabresi costretti ad emigrare per sfuggire alla miseria di quegli anni.
Per decenni i calabresi all’estero vennero trattati come bestie senza alcun diritto. E loro non avevano voce per gridare, per protestare. Le condizioni di vita e di lavoro, per l'isolamento e i maltrattamenti a cui erano sottoposti, erano terribili.
La disperata ricerca di lavoro
A quei tempi la gente del Sud era odiata perfino dalla gente del Nord Italia (in pieno boom economico), figuriamoci in Svizzera, Belgio, nelle Americhe. In Svizzera la situazione era ancora più grave: decine di migliaia di italiani, calabresi in particolare, erano emigrati alla disperata ricerca di un lavoro per sfamare le famiglie rimaste in Calabria nella miseria più nera.
La tragedia di Mattmark cancellò tante giovani vite: quella enorme valanga di ghiaccio distrusse ogni cosa: vite umane, strade, baracche. E seppellì un centinaio di lavoratori emigrati che stavano edificando una diga di dimensioni mai viste prima. A Mattamark i calabresi vivevano in baracche poste sotto il ghiacciaio, non avevano accesso ad alcun servizio, non potevano reclamare diritti, non potevano di fatto uscire da quello steccato, da quel muro, che era il cantiere, le gallerie, le baracche. “Venivamo trattati come bestie!”
Erano in apartheid, in una vera e propria segregazione razziale. Con il tempo le cose per fortuna cambiarono. Ma quegli anni furono terribili.