VIDEO | Solo lui e la cuginetta si salvarono la sera del 19 novembre del 1996 quando Alfredo Valente entrò in casa della moglie da cui stava per divorziare e sparò all'impazzata uccidendo sei persone tra cui la piccola Fabiana
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Era il 1996, il termine femminicidio era già stato coniato sei anni prima ma non era ancora entrato nel linguaggio di uso comune. Di femminicidio, però, si moriva anche allora. Più precisamente a Buonvicino, nelle campagne che sovrastano la città di Diamante, la sera del 19 novembre di quell'anno si verificò quello che i criminologi chiamano family mass murder, letteralmente omicidio di massa famigliare, il più grande mai verificatosi nel dopoguerra ad oggi.
Anche quella notte, come spesso accade ai giorni nostri, un uomo cieco di rabbia ha messo fine all'esistenza della compagna, di appena 32 anni, che aveva chiesto il divorzio dopo anni di litigi. Ma quella notte Genoveffa, per tutti Genny, non era sola nella casa in cui si era trasferita da qualche settimana e insieme a lei morirono altre cinque persone, tutte parenti della vittima, tra cui la piccola Fabiana di soli 11 anni. 25 anni dopo la strage, uno dei due superstiti, Marco Benvenuto, è tornato in quella casa per raccontarci come si convive con quel tragico ricordo. Nella tragedia, Marco ha perso la sorella e i genitori, sorella e cognato di Genny.
Marco: «Ho smesso di farmi domande»
Quando l'ex carabiniere Alfredo Valente sterminò la sua famiglia Marco aveva tre anni, eppure ha ricordi ancora nitidi di quella lunga e disperata notte. Ma a dispetto di ciò che ha vissuto, è un ragazzo equilibrato, che ha saputo farsene una ragione: «Ho elaborato il lutto e non mi chiedo perché sia capitato proprio alla mia famiglia. Ho smesso di farmi domande. So solo che se riesci ad affrontare questo puoi affrontare qualsiasi cosa nella vita».
«Non li ho mai dimenticati»
Di suo padre ricorda quando lo teneva in braccio, ricorda anche il volto della madre, meno quello della sorellina. Ma il ricordo della sua famiglia è vivo dentro di sé grazie anche alle foto e ai racconti dei famigliari a cui è stato affidato dopo la tragedia: «Sono tornato spesso in quella che fu la mia casa, lì era impossibile dimenticarli». Nella casa degli orrori, invece, ci è tornato soltanto 25 anni dopo: «Prima di entrarci avevo dei flash, pensavo fossero solo dei film mentali, poi ho aperto la porta e ho trovato i mobili disposti così come li ricordavo. Entrare qui per la prima volta è stato strano, poi ci ho fatto l'abitudine, è diventato un posto normale».
La sera della tragedia
È il 1996. Alfredo Valente è un carabiniere da qualche tempo in servizio a Formia. Il matrimonio con Genoveffa finisce e lei torna a vivere con la loro figlia a casa dei suoi, in contrada Visciglioso a Buonvicino, nell'appartamento di sopra. Valente prova a tornare con la moglie, ma lei è decisa a mettere fine a quel rapporto ormai logoro. Tre giorni avrebbero firmato le carte del divorzio. La sera del 19 novembre, Genny organizza una cena. Alla tavola, oltre a sua figlia, siedono i genitori di lei, Marianna Amoruso e Raffaele Salemme, la sorella Francesca, il cognato Luigi e i nipoti, figli della coppia, Fabiana e Marco Benvenuto. Succede tutto in un attimo. Valente si introduce in casa senza preavviso, estrae la pistola d'ordinanza e spara all'impazzata. Restano uccisi Genny, i suoi genitori, il cognato e la sorella. Fabiana è china sul corpo esanime della madre e piange disperata. Il killer spara ancora per zittirla. Fabiana resterà uccisa da quattro colpi di pistola alla nuca.
Il viaggio disperato verso Brescia
Sono feriti anche Alessandra e Marco, ma vivi. L'assassino li carica in macchina e li porta fino a Brescia, a casa di alcuni parenti, braccato dai colleghi che nel frattempo hanno dato vita a un lungo ed estenuante inseguimento. «Ricordo che la macchina correva, stringevo un pupazzetto - dice Marco -, l'avevo sporcato di sangue. Soltanto questo, non so dire se sia rimasto lucido per tutto il viaggio o sia svenuto». I ricordi si riaccendono a casa dello zio, dove le forze dell'ordine hanno braccato e tratto in arresto il killer: «Qui ricordo tutto, anche gli elicotteri che volavano sopra le teste».
Dolore mai risarcito
Oggi Marco si è costruito una vita, ha un lavoro ed ha imparato a convivere con il suo dolore, ma chiede di essere risarcito. «Ho perso tanto, voglio che lo Stato mi risarcisca e lo faccia cn tutti quelli che vivono nella mia stessa situazione». Dramma che a livello psicologico forse non è ancora finito. Dopo 25 anni di carcere, Alfredo Valente è tornato nella costa tirrenica, poco distante da Marco. «Non nascondo che sono un po' deluso - dichiara Marco -, non è paura, la ritengo più che altro una mancanza di rispetto nei confronti della mia famiglia. Ma non sono nessuno per dire che l'assassino deve restare ancora in carcere, lo Stato ha già dato il suo giudizio. Però non voglio essere una vittima tutta la vita, voglio che lo Stato riconosca i miei diritti».
Il libro "Sangue del mio sangue"
La strage di Buonvicino è ora raccontata in un libro, "Sangue del mio sangue", scritto a quattro mani dalla giornalista Fabrizia Arcuri, parente delle vittime della strage e cugina di Marco, e dal criminologo Sergio Caruso, edito da Falco Editore. «In quel periodo studiavo a Perugia - ricorda la Arcuri - e ricordo perfettamente la telefonata di mia madre che mi annunciò la tragedia». Per anni ha tenuto dentro quel dolore, fino all'incontro casuale con il co-autore. «Desideravo scriverlo da tempo, ma non ne avevo mai avuto la forza. Per me è stato terapeutico, sono venuti fuori ricordi che credevo di aver rimosso». Il libro è un'autobiografia che ripercorre emozioni e sensazioni legate alla tragedia. L'idea è piaciuta anche a Marco, oggi graphic designer affermato, che ha curato la copertina del libro. «Quando ho saputo che il killer era tornato in libertà - ha concluso la Arcuri - ho capito che era arrivato il momento di rompere il silenzio e rendere onore alle vittime, in particolare a Fabiana, che era la mia stella».