«Mi sono pentito per liberarmi la coscienza da tanti fardelli e perché mi è capitato un fatto del tutto straordinario e spirituale. Sono andato in chiesa e mi è apparsa la Madonna ed allora mi sono pentito». Sono le motivazioni inedite con le quali Andrea Mantella ha inteso spiegare al Tribunale collegiale di Vibo Valentia ed al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, la sua scelta di “saltare il fosso” ed iniziare dal maggio del 2016 a collaborare con la giustizia. L’ha fatto nel processo che vede imputati a vario titolo dei reati usura, danneggiamento ed estorsione: Guglielmo Ciurleo, 56 anni, idraulico di Filogaso, i fratelli Vincenzo e Franco Teti, di 66 e 41 anni, e Francesco Cracolici, 42 anni, di Maierato. Parte offesa nel processo, Nunzio Buttafuoco, assistito dall’avvocato Giovanna Fronte.

 

Andrea Mantella, collegato in video-conferenza da una località riservata con l’aula bunker del nuovo Tribunale di Vibo, ha quindi giustificato la scelta di collaborare anche con il desiderio di «cambiare vita dopo aver scontato una condanna per associazione mafiosa rimediata nel processo nato dall’operazione denominata Goodfellas».


Otto gli omicidi ai quali Andrea Mantella - ex elemento di spicco del clan Lo Bianco di Vibo col tempo a capo di un autonomo gruppo – ha confessato di aver preso parte in prima persona di cui tre commessi quando era ancora minorenne. Capacità criminali che l’avrebbero fatto entrare nelle grazie del boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” (deceduto nel marzo 2014 in carcere a Parma) e che gli avrebbero fatto conquistare “sul campo” la dote di ‘ndrangheta dello “sgarrista”. Un percorso criminale iniziato insieme al suo braccio-destro, Francesco Scrugli, ucciso nel marzo del 2012 dal clan Patania in quanto ritenuto, insieme al clan dei Piscopisani, fra i responsabili della morte del boss Fortunato Patania (ucciso nel settembre del 2011 nella sua stazione di carburanti nella Valle del Mesima).