«La mafia è stata, è e sempre sarà una montagna di merda». Il sindaco di Petilia Policastro, Simone Saporito, avvocato come il padre, penalista in pensione, si affida alla categoricità della famosa invettiva di Peppino Impastato per rendere inequivocabile la sua distanza dalla ‘ndrangheta e cercare di uscire dalle sabbie mobili nelle quali si è ficcato.

Il manifesto funebre commissionato dal Comune per esprimere il cordoglio dell’amministrazione alla famiglia di Rosario Curcio, uno dei killer della madre coraggio Lea Garofalo, morto suicida in carcere dove stava scontando l’ergastolo, ha scatenato una tempesta politica e mediatica che solo il primo cittadino non ha sentito arrivare. Ieri, nelle ore immediatamente successive alla diffusione della notizia, ostentava infatti una certa dose di fastidio a chi gli faceva notare quello che solo nella migliore delle ipotesi può essere definito un passo falso: «Lo facciamo per tutti i nostri concittadini, perché per lui non avremmo dovuto farlo? Davanti alla morte si è tutti uguali», ha dichiarato in quel frangente.

Forse ogni morte è uguale in una dimensione ultraterrena, ma qui, tra la polvere e il sangue di una regione ancora soggiogata dal potere criminale dell’organizzazione mafiosa più potente del mondo, la fine atroce di Lea Garofalo - strangolata, bruciata e infine disciolta in un fusto pieno d’acido il 24 novembre 2009 perché aveva osato rompere il muro di omertà - non può in alcun modo essere paragonata a quella di uno degli uomini che componevano il commando che la uccise.

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Le condoglianze del sindaco, il cui nome appare a caratteri cubitali sul manifesto funebre, sono immediatamente echeggiate sulla stampa regionale e nazionale, raccogliendo anche la condanna del sottosegretario all’Interno, Wanda Ferro («Inaccettabile, è un inchino alla ‘ndrangheta»), e del governatore Occhiuto («Iniziativa indecente»).

Il nostro Procolo Guida è andato Petilia Policastro a sentire come il primo cittadino giustificasse una simile bestemmia istituzionale. Ed è stato accolto con la disponibilità di chi sa di averla fatta grossa e ora prova a rimediare affidando alla stampa la sua versione dei fatti. «Il sottoscritto e l’Amministrazione non hanno mai ordinato quel manifesto - ha assicurato Saporito -, si è trattato di un automatismo innescato da un accordo preesistente con l’agenzia funebre alla quale è stato dato mandato di realizzare un manifesto di condoglianze a nome del Comune per ogni concittadino che muore».

Poi, dopo aver chiesto scusa a tutti, ribadendo però che l’iniziativa non è stata promossa in maniera consapevole ma si è trattato di un errore, ha reso noto di aver «telefonato alla sorella di Lea Garofalo», la quale, ha assicurato, «si è dimostrata comprensiva».
Intanto, però, al netto delle giustificazioni, la vicenda promette di non esaurirsi presto. Soprattutto dopo l’intervento deciso del sottosegretario all’Interno, infatti, non è difficile immaginare possibili conseguenze sulla durata dell’amministrazione in carica, che potrebbe essere oggetto di un accesso della commissione antimafia, quasi sempre anticamera dello scioglimento.