Il sangue versato dai medici in presidi di frontiera saccheggiati dalla politica e dalla ‘ndrangheta. L’inchiesta della Iena Gaetano Pecoraro scuote il sistema consolidatosi nella nostra regione
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Pasquale Ceratti, che – intervistato dalla iena Gaetano Pecoraro – non farebbe curare la sua bambina nell’ospedale di Locri (quello nel quale lavora), non è un medico qualunque. E’ stato, per lungo tempo, l’unico camice bianco sotto scorta negli ospedali italiani. C’era finito in ragione della sua attività politica: aveva disturbato qualcuno che ad un certo punto minacciava di ammazzarlo. Pasquale Ceratti è il figlio di Stefano Ceratti, altro medico, cardiologo, che proprio per la sua attività politica, il 7 aprile del 1992, fu ammazzato davvero. Perché nella Locride chi indossa il camice bianco rischia di finire sotto terra. Franco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale assassinato a Palazzo Nieddu il 16 ottobre del 2005, è stato l’ultimo a rimetterci la vita: era il primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Locri, assassinato su mandato di un caposala, Alessandro Marcianò.
Tutto ciò spiega come - dietro quell’ospedale che cade a pezzi, raccontato nella magnifica inchiesta dalla iena Gaetano Pecoraro, l’ospedale nel quale si mescolano inefficienze, contraddizioni, benedizioni, infiltrazioni d’acqua e di malavita, inadeguatezza politica - c’è anche una storia criminale. Una storia che diventa la metafora di tutto: dei pilastri di cemento armato corrosi dalla ruggine, dei tetti crollati, delle infiorescenze negli scarichi dei servizi igienici, della cacca di piccione sui davanzali, delle nomine “ad minchiam” (direbbe la buonanima di Franco Scoglio).
E’ una storia criminale che inizia nel 1979, con il sequestro del primario di Chirurgia generale Francesco Morgante, rilasciato dopo quattro mesi di prigionia e il pagamento del riscatto richiesto dall’anonima sequestri. Gli succedette alla guida del reparto Girolamo Marino: primario giovanissimo, fu assassinato all’età di 44 anni, il 22 ottobre del 1988; non riuscì nel disperato tentativo di salvare la vita di una bimba di quattro anni, figlia di un latitante, una tragica fatalità che pagò con una pioggia di fuoco che non gli diede scampo. Cinque anni dopo, un colpo di pistola alla testa tolse invece di mezzo il primario dei Riuniti di Reggio, Domenico Pandolfo: luogo del delitto, il bar dell’ospedale di Locri, presidio del quale era consulente.
Questo ospedale è stato teatro anche delle imprese - punite con i giudicati della giustizia, ma mai chiarite fino in fondo - di un ex poliziotto, Francesco Chiefari, sedicente confidente dei servizi segreti, che tanto nel nosocomio di Locri, quanto nel vicino presidio di Siderno, sistemò due bombe: una di queste, come rivelò una lettera recuperata dagli inquirenti, era destinata a Maria Grazia Laganà, moglie di Franco Fortugno, l’altra al fratello del vicepresidente del consiglio regionale assassinato nel 2005.
E arriviamo alla notte tra l’11 e il 12 settembre del 2011, quando dal reparto di Medicina - lo stesso in cui Pasquale Ceratti fu per lungo tempo costretto a recarsi con la scorta dei carabinieri - evase Antonio Pelle “la Mamma”. Recluso al carcere duro, iniziò a rifiutare il rancio quotidiano e, procurandosi dei farmaci per accelerare il dimagrimento, si ridusse all’anoressia. Pezzo da novanta della ‘ndrangheta di San Luca, figura chiave nelle dinamiche che condussero alla strage di Duisburg, ottenne così la possibilità di lasciare il carcere ma, anziché essere tenuto d’occhio in una struttura sanitaria adeguata, fu mandato nell’ospedale più sgarrupato d’Italia, a Locri, praticamente sotto casa. Quella notte di settembre, indossò i vestiti, attraversò il corridoio, prese l’ascensore e si diede alla macchia. La Polizia riuscì a riacciuffarlo in un bunker di San Luca solo cinque anni dopo.
C’è puzza di mafia in ospedali come quello di Locri. Puzza di mafia da sempre. E chi prova ad opporsi rischia grosso. Per aprire gli occhi ci vogliono coraggio, competenza e conoscenza. Uno che ce l’ha è Ezio Arcadi, il pm di Locri tra le figure chiave dell’inchiesta delle Iene: anch’egli è una figura metaforica. Fanno quasi tenerezza il suo disincanto, la sua quasi rassegnazione: in un altro Paese, lui che ha speso gran parte della carriera a salvare gli ostaggi dell’Anonima o a restituirne le spoglie alle famiglie, sarebbe stato procuratore da un pezzo, ma ha rotto le palle al sistema e ora si affaccia alla pensione da pm che fa inchieste che i giudicanti sovente non hanno interesse a trattare.
La iena Gaetano Pecoraro intervista Arcadi. Mette alle corde il direttore generale Mesiti. Quindi spaventa così tanto il presidente Oliverio il quale, prima invita l’operatore di ripresa a spegnere «la televisione» e non la videocamera, infine si nasconde in casa. Poi, il nostro collega, va dal ministro della Salute Grillo che, in premessa, dice che i commissari nominati dal governo hanno poteri limitati. Le fa notare che perfino Saverio Cotticelli (l’ex comandante generale del Nas dei Carabinieri, non un ingegnere chimico sindaco di Alfadena come Massimo Scura) forse ha preso un abbaglio, ri-nominando un dg che non aveva i requisiti per quell’incarico, Mesiti appunto. Della serie “già i commissari hanno «poteri limitati» ma se prendono pure cantonate”...
Ben vengano, allora, il ministro di buona volontà e le sue azioni forti. Ma c’è un problema adesso, di credibilità del governo e di chi vuole imporsi, tanto in Calabria quanto a Roma, come la nuova classe dirigente. Chi ha governato finora s’è divorato tutto, pilastri di cemento armato, bilanci fatti e non fatti, poltrone, palazzi... Ha lottizzato perfino i posti alle riunioni di condominio. Ha mangiato, voracemente e così tanto da aver perso praticamente tutto, anche la faccia. Ora bisogna voltare pagina e quello della sanità, nella nostra regione, è in assoluto il primo e più delicato banco di prova.
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