La Corte di Cassazione ha chiuso il processo “Malasanitas”, nato dall’operazione della Guardia di finanza che avrebbe svelato il sistema di copertura degli errori medici che sarebbero stati commessi nei reparti di Ginecologia, Ostetricia, Neonatologia e Anestesia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.

La Suprema corte ha confermato, rispetto al giudizio di appello, il risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite, genitori e famiglie dei neonati. I giudici della quinta sezione hanno infatti rigettato i ricorsi presentati dagli imputati agli effetti civili.

Coperti dalla prescrizione, invece, gli effetti penali dei reati rimasti in piedi dopo i primi due gradi di giudizio a carico di Luigi Grasso, Alessandro Tripodi e Pasquale Vadalà. Per queste posizioni, la Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio. 

Resta, dunque, in piedi il risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede. A carico di alcuni dei medici imputati e, in parte, del Grande ospedale metropolitano «il pagamento delle spese processuali e di rappresentanza».

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Processo Malasanitas, com’era andata in secondo grado

Una conferma, due condanne con pena ridotta, un’assoluzione e sei prescrizioni. Si era concluso così, in secondo grado, il processo “Mala sanitas”. In Cassazione si chiude l’iter dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e condotta dalla Guardia di finanza su ginecologi, anestesisti e ostetriche dell’ospedale Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio. Il processo riguardava diversi episodi di presunta malasanità.
La Corte d’appello aveva riformato la sentenza emessa nel luglio 2019 dal Tribunale che aveva condannato 9 imputati con pene che andavano dai 2 anni e 3 mesi ai 6 anni e 2 mesi di reclusione.

L’unica condanna confermata, a 2 anni e 3 mesi di reclusione, era stata quella dell’anestesista Luigi Grasso. In appello, invece, era stata ridotta la pena per l’ex primario del reparto di Ostetricia e ginecologia Pasquale Vadalà, condannato a 3 anni di carcere (4 anni e 9 mesi in primo grado) per aver manipolato la cartella clinica di una partoriente il cui neonato è deceduto dopo poche ore di vita a causa di una meningite fulminante e sepsi precoce. Per lo stesso reato era stato condannato a 2 anni e 4 mesi il ginecologo Alessandro Tripodi (4 anni e 8 mesi in primo grado). Nei suoi confronti, inoltre, è stata dichiarata la prescrizione per altri reati.

Difeso dall’avvocato Giovanni De Stefano, invece, Alessandro Tripodi era stato assolto da un’altra accusa di falso. Accusa per la quale, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, erano state assolte anche l’ostetrica Giuseppina Strati che in primo grado era stata condanna a 3 anni, difesa dall’avvocato Francesco Calabrese, e la ginecologa Daniela Manunzio. Per quest’ultima, condannata in primo grado a 6 anni e 2 mesi di reclusione, la Corte d’Appello aveva dichiarato la prescrizione per tutti gli altri capi di imputazione. Prescritte, infine, le accuse nei confronti degli altri imputati: la neonatologa Maria Concetta Maio e i ginecologi Antonella Musella, Filippo Saccà, Massimo Sorace e Marcello Tripodi. Per quest’ultimo la prescrizione era stata già dichiarata dai giudici di primo grado.