Mafia, politica, massoneria e servizi segreti: ecco l’inchiesta che svela lo Stato parallelo

La “superassociazione”, scoperta dal pm Giuseppe Lombardo, raccontata in un'esplosiva informativa della Dia. Gestione di latitanti, depistaggi, appalti e nomine ad altissimi livelli. Trame oscure che lambiscono pure il Vaticano
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di Consolato Minniti
23 maggio 2018
09:00

Una superassociazione con all’interno un ruolo fondamentale della ‘ndrangheta che, però, ne rappresenta solo una componente. Un sistema economico-finanziario-criminale di livello internazionale che vede pezzi di imprenditoria di prim’ordine, uomini politici, esponenti dei servizi deviati e massoni inglobati in un unico grumo di potere in grado di mettere su quello che gli investigatori hanno denominato “Lo Stato parallelo”. È questo il titolo della mastodontica informativa depositata nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, al processo “Breakfast” e che è già in possesso del collegio difensivo da diversi giorni. Il procedimento vede sul banco degli imputati, fra gli altri, l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola e la moglie di Amedeo Matacena junior, Chiara Rizzo, con l’accusa di aver agevolato la latitanza dell’ex parlamentare che, ancora oggi, si trova latitante a Dubai. Matacena, infatti, deve scontare una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Ed è proprio grazie a questa sofisticatissima rete di contatti che l’uomo politico di Forza Italia è riuscito a garantirsi – almeno per il momento – l’impunità.

 


Questa “superassociazione”, scrivono gli investigatori, è un «sistema associativo che ha indubbi caratteri di originalità, idonei a differenziarlo significativamente dalle cosiddette “organizzazioni criminali tradizionali”, trattandosi di una struttura sostanzialmente occulta e correlata da un rapporto di corrispondenza biunivoca sotteso ad estendere le potenzialità del sodalizio di tipo mafioso in campo interno e internazionale».

 

Le indagini sono ancora in corso e l’informativa non fa cenno a persone iscritte per i fatti specifici cui si riferisce il documento depositato. Emergono, invece, contatti, cointeressenze, amicizie, relazioni, affari che hanno una loro intrinseca rilevanza al di là dell’aspetto della rilevanza penale.

Il ruolo di Vincenzo Speziali

Perno di questo sistema relazionale è sicuramente Vincenzo Speziali, imprenditore che ha patteggiato la condanna, per il reato di procurata inosservanza di pena. Emissario libanese che, nei progetti di Scajola, avrebbe dovuto provvedere al trasferimento di Matacena da Dubai verso il Libano, stante il suo rapporti di parentela con Amin Gemayel, l’ex presidente libanese, zio dell’imprenditore.

Ma il sistema su cui sta ancora indagando la Dda di Reggio Calabria ha una parte ancora sconosciuta che ha permesso, fra le altre cose, la latitanza e la schermatura dei beni di Matacena. Ed è proprio da questo evento così come dalla rete che ha gestito la latitanza di Dell’Utri che viene fuori l’impronta di questa superassociazione. Che, però, ha allungato i suoi tentacoli anche su appalti delle imprese italiane all’estero, con particolare riferimento al Libano.

Massoneria vincolo indissolubile

Ma cosa riesce a tenere insieme grandi consigli d’amministrazione, servizi segreti, politici, ‘ndrangheta e aderenze persino in ordini cavallereschi vicini al Vaticano? Quel vincolo massonico che, nella prospettazione degli inquirenti, si connota come una loggia in grado di rappresentare la continuazione della P2. A parlarne diffusamente è il pentito Cosimo Virgiglio (profondo conoscitore del mondo interno massonico per averne fatto parte, nonché di quello ‘ndranghetistico) che, nelle sue dichiarazioni, fa riferimento al passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. «Cioè quando si andò a disfare il vecchio sistema cosiddetto della vecchia Repubblica, e… ognuno si cercò di muovere (…) il vecchio potere cambiò l’etichetta, cambiò le vesti ma alla fine era sempre lo stesso concetto». E fra i nomi che emergono dalle dichiarazioni del pentito, spunta anche quello di una famiglia che, con la vicenda Matacena e Scajola, ha già avuto diversi punti di contatto: i Pizza. Soprattutto i fratelli Giuseppe e Massimo.

Pizza, Gemayel, Dell'Utri e le cene romane

Il primo è personaggio molto noto nell’ambito politico. Giuseppe Salvatore Pizza, detto “Pino”, infatti, è colui che detiene ancora oggi il diritto all’utilizzo del simbolo storico della Democrazia cristiana. Ed è proprio in quel partito che ha costruito le sue fortune politiche. Lui, reggino d’origine, infatti, è stato anche sottosegretario del Governo Berlusconi. Ed è in casa della sua compagna che, fra il 2013 ed il 2014, avvengono diverse cene alla presenza di importanti personaggi come Marcello Dell’Utri, Emo Danesi, ex democristiano e piduista, ma anche pezzi di rilievo dei settori diplomatici, italiani ed esteri, immobiliaristi e faccendieri. Oltre a capi di Stato. Uno su tutti: Amin Gemayel. Proprio colui il quale avrebbe dovuto occuparsi della latitanza di Dell’Utri e che, come confermato tanto da Danesi quanto da Pizza, l’ex senatore incontrò nel corso di una cena. Pizza, infatti, riferisce agli investigatori che in una prima occasione «Gemayel e Dell’Utri durante le loro conversazioni in lingua francese si davano del tu», mentre in un secondo caso, ben più probante dal punto di vista investigativo, disse di avere sicurezza che «Gemayel e Dell’Utri si sono appartati per parlare». Ma perché Gemayel si sarebbe interessato così tanto alle vicende Dell’Utri e Matacena? La sua popolarità in Libano era in discesa e per lui era fondamentale ottenere appoggi internazionali che potessero dargli maggiore credibilità. In tutto ciò, non sfuggono anche alcuni appalti assai appetibili da parte di imprenditori italiani con occhi e orecchie verso il Libano. Come confermato anche da Danesi in sede d’esame al processo, il progetto di costruire un’autostrada rappresentava una ghiotta opportunità d’affari. Ma a quelle cene emergono anche altri nomi di un certo rilievo come quello dell’ex ministro Sergio Billè. Fu lui a rivolgersi, per il tramite di Speziali, ad uno dei presenti, il banchiere Robert Sursock della Gazprombank, chiedendo di poter permettere all’amico immobiliarista Stefano Ricucci, di poter avere delle linee di credito all’estero. Operazione che non andò a buon fine, nonostante  delle lettere di “patronage” di particolare rilievo.

Pazienza e la cena dal boss Araniti

Ma tornando a Pino Pizza, sembra proprio che questi se ne intenda non poco di cene di un certo rilievo. A parlare di un evento che lo vide protagonista è niente meno che il noto Francesco Pazienza, personaggio al centro delle più oscure trame d’Italia e condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. Ebbene, Pazienza riferisce agli investigatori che intorno al 1980 o 81, quando lui era già collaboratore del Sismi, Pizza lo invitò in Calabria e «siccome non ero mai stato in Calabria, da Roma andammo in Calabria e vidi che lui era amico dei De Stefano all’epoca e soprattutto di Domenico detto Mimmo Araniti di Sambatello. Domenico Araniti l’ho conosciuto perché fecero una grande cena quando sono stato giù… sono stato 36 ore e fecero una grande cena in onore di Pino Pizza… Sambatello mi ricordo era un paesino». Pazienza fa riferimento anche ad altre persone da lui conosciute: «Mi presentò anche Don Stilo, era a Africo Nuovo, mi ricordo che andammo a pranzo da Don Stilo e la cosa che mi meravigliò moltissimo e che la racconto anche come aneddoto di quello che può succedere in questi posti». Pazienza narra, in sintesi, che l’aereo che lui doveva prendere da Reggio, partiva alle cinque del pomeriggio. Alle 3 erano ancora a tavola dal sacerdote. «Lui ha preso il telefono… l’aereo mi ha aspettato. L’aereo dell’Alitalia mi ha aspettato… io sono arrivato con due ore di ritardo e c’era l’aereo fermo che mi aspettava, come un jet privato».

Ai funerali di Gambino

Il racconto di Pazienza tocca anche gli Stati Uniti ed un singolare episodio. Il funerale di Tommasino Gambino a New York. A portarlo, afferma Pazienza, fu proprio Pizza. «Lui era un tramite, un… questo personaggio calabrese di cui non conosco… non mi ricordo il nome, e tramite questo e… imprenditore Gigi Vazzana era in buon… questi signori erano in buona relazione con Don Saro di Mario, era lo zio di Nino Inzerillo, parente dei Gambino negli Stati Uniti. Quando andammo a fare quel viaggio c’era Tommasino Gambino, il padre di Joe Gambuno che era morto, allora lui mi disse devo andare a questo funerale e compagnia cantante… allora io comprai un cappello grosso così… gli occhiali neri… perché io sapevo che saremmo stati fotografati tutti da… dall’Fbi… almeno io … ah… ah… non mi faccio riconoscere!».

Massimo Pizza e la struttura “Gladio”

E se Pazienza è persona che afferma di aver collaborato con i servizi di sicurezza ed è dimostrato che abbia avuto rapporti con Pino Pizza, l’altro fratello di questi, Massimo, rappresenta sicuramente un elemento sul quale la Dia si è soffermata parecchio. Lui stesso, infatti, ha dichiarato al pm Lombardo di aver collaborato con la VII divisione del Servizio di sicurezza Sismi, ossia quella struttura segreta “Gladio”, poi coinvolta in una serie di fatti di particolare rilevanza. Massimo Pizza, fra l’altro, risulta essere stato coinvolto anche nell’inchiesta “Sistemi criminali” che aveva fra gli indagati pure Licio Gelli, assieme ad esponenti di Cosa nostra siciliana e della ‘ndrangheta calabrese. Proprio in tale contesto, Pizza fu definito come agente “Polifemo” a capo della sezione K dell’ex Sismi. Di professione mediatore finanziario, titolare della Morris srl, Pizza è «soggetto poliedrico coinvolto in diverse e complesse indagini che lo hanno sempre accostato ad ambienti massonici o dei servizi segreti deviati». Ex carabiniere ausiliario, «ha pregiudizi di polizia», annotano gli uomini della Dia, per diversi reati. Secondo quanto documentato questi conduce una “vita parallela”. Tuttavia, egli stesso, proprio nell’inchiesta “Sistemi criminali” ha spiegato di non aver mai fatto parte dei servizi di sicurezza. Dall’indagine della Procura di Potenza, in cui lo stesso Pizza è finito, emerge il suo stretto rapporto con Fausto Del Vecchio, sottufficiale dell’Arma, già in servizio al Sisde, ma soprattutto – come da lui stessi riferito – “braccio destro di Bruno Contrada”, fino al momento del suo arresto.

Chi è davvero Massimo Pizza?

La sintesi di tutto ciò si può avere nelle considerazioni che la Dia fa, al termine di una lunghissima analisi dedicata proprio a Massimo Pizza. Di lui scrivono: «Soggetto di straordinaria pericolosità, è alla continua ricerca di strumenti di promozione dei suoi prodotti pseudo finanziari, che da anni propina alle sue vittime, alcune sempre le stesse, risultando attento fruitore di notizie ed informazioni che scaturiscono dalla conoscenza e soprattutto dalla frequentazione decennale sia di soggetti che ricoprono ovvero hanno ricoperto incarichi istituzionali nell’apparato statale, e in particolare nei Servizi Segreti, sia di uomini di affari, soggetti finanziari ed imprenditori di altre nazioni». L’interrogativo di fondo è dunque il medesimo: Pizza è solo un soggetto che si occupa di questi affari o rappresenta qualcosa di più all’interno di quella superassociazione di cui si è parlato?

 

1. continua

 

Giornalista
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