L’interesse dei clan calabresi per il business del petrolio. I rapporti di Stefano Gangemi, imprenditore di Aprilia considerato vicino al gotha delle cosche reggine. E i legami dell’ex eversore di destra con i Mancuso e i Morabito per l’affare della benzina che, per un pentito, «è più diffuso della droga»
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C’è un doppio filo che lega la ’ndrangheta all’inchiesta che ha svelato gli agganci delle mafie a Roma per riciclare montagne di soldi.
Una delle direttici porta ad Aprilia e, ancora prima, a Reggio Calabria. L’inchiesta della Dda capitolina, infatti, nasce da una costola dell’operazione Assedio che, nei giorni scorsi, ha svelato l’influenza delle organizzazioni criminali nell’Agro pontino. Il focus iniziale è sulla famiglia Gangemi: origini calabresi e radici ben piantate nel Lazio, dove Sergio (indagato) è finito più volte al centro delle cronache. In una recente inchiesta sarebbero emersi i suoi rapporti con il clan guidato da Patrizio Forniti di base ad Aprilia. Gangemi, in quel contesto, sarebbe stato il trait d’union con la ‘ndrangheta e avrebbe messo a disposizione le proprie risorse economiche per rafforzare il gruppo.
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Stefano Gangemi, dal gotha della 'ndrangheta ad Aprilia
Un passo indietro: parte della potenza economica di Gangemi sarebbe dovuta ai suoi legami con cosche storiche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, dove l’uomo è nato 50 anni fa. L’inchiesta Planning della Dda dello Stretto è una radiografia nel cuore del secondo livello della criminalità: punto d’incontro tra interessi mafiosi e imprenditoriali. Per i pm Stefano Musolino (oggi procuratore aggiunto) e Walter Ignazitto, «vi sono solidi e variegati rapporti che legano la famiglia Gangemi alle principali cosche originarie del quartiere cittadino Archi che rappresentano il gotha della ’Ndrangheta reggina». Queste ombre si stendono fino agli anni 90 e si allungano fino a sfiorare i clan De Stefano e Condello. Altri contatti, secondo quanto riferito dal pentito Enrico De Rosa, avvicinerebbero i Gangemi a un altro imprenditore vicino alla cosca Araniti.
La rete dei rapporti calabresi è fitta. A Roma si aggiungono nuovi nodi. Lo sottolineano i magistrati antimafia quando spiegano che le indagini dell’inchiesta Assedio all’inizio «hanno centrato il focus sull’esistenza di una complessa rete relazionale gravitante attorno alla famiglia Gangemi». Primo step: i rapporti tra la famiglia originaria di Reggio Calabria «e i fratelli Nicoletti; poi tra questi e Pasquale Lombardi; da qui la gestione “operativa” sul territori». Nicoletti, a Roma, non è un cognome qualsiasi: il contatto di Gangemi è con Tony, figlio di Enrico, cassiere della Banda della Magliana morto qualche anno fa.
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Secondo il collaboratore di giustizia Basilio Bucciarelli, Nicoletti, Gangemi e Lombardi «avevano in piedi un’attività di usura» nei confronti di una persona poi deceduta. «Da quello che ho capito – spiega il pentito – Lombardi e Nicoletti procuravano clienti a Gangemi per prestiti a usura». Secondo un altro collaboratore, Tony Nicoletti e Gangemi sono «tutta una batteria».
Il figlio dell’ex cassiere della Banda della Magliana è il collegamento che permette all’imprenditore vicino alle cosche reggine di addentrarsi nei gangli del sistema romano.
Eversione nera e 'Ndrangheta, una storia che ritorna
Per il gruppo che sarebbe, invece, legato al clan Mancuso, il contatto è rappresentato da Roberto Macori. Macori è un 50enne che, secondo i pm romani, ha un ruolo chiave nella gestione dei rapporti con la criminalità organizzata. «Maturato nell’estrema destra eversiva romana – è il profilo che ne fanno i magistrati – all’ombra di Massimo Carminati, è divenuto prima l’alter ego di Gennaro Mokbel per poi legarsi al Michele Senese». Una figura, quella di Macori, che ondeggia tra eversione nera e mafie, altro brodo di coltura del crimine nella Capitale.
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Macori diventa il referente dei calabresi: Morabito e Mancuso, Africo e Vibo Valentia, in un settore che il gip considera «l’attuale frontiera, come dimostrano numerose indagini, di tutte le principali associazioni mafiose italiane: il settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi all’interno delle cui dinamiche i clan napoletani hanno certamente un ruolo chiave ma che vede, come punto di snodo, proprio il sistema romano». Le Dda di Catanzaro e Reggio Calabria hanno già esplorato le relazioni pericolose nel settore: legami tra Campania, Calabria e Sicilia sono emerse nei due tronconi del processo Petrolmafie. In uno dei processi calabresi è arrivata la condanna per Anna Betz, nota come Lady Petrolio, la cui figlia Domitilla Strina è indagata nell’inchiesta romana.
«La benzina è un affare più diffuso della droga»
A Roma, i pezzi di tre mafie «hanno maturato la capacità di integrarsi in maniera organizzata e strutturata con gruppi di criminalità autoctona». “Robertone” Macori avrebbe un ruolo chiave in questo sistema divenuto la chiave per capire l’estensione degli interessi criminali nella capitale. La Dda di Roma evidenzia una delle dichiarazioni del pentito Umberto D’Amico: «La benzina è diventata un affare più diffuso della droga». Business principe per macinare denaro e dare il via a nuove alleanze. Se in una conversazione si sottolinea che Macori vuole contribuire al progetto di ricostruzione della Nuova Camorra organizzata a Roma, la sua «forza» emergerebbe dagli «stretti legami con numerose e importanti organizzazioni di stampo mafioso. Infatti cura per conto delle famiglie calabresi dei Mancuso e dei Mazzaferro gli investimenti di 'ndrangheta, nel settore dei petroli per il tramite dell'imprenditore Piero Monti e attraverso l'acquisizione di importanti depositi di carburanti (la fratelli Vianello srl) e la fondazione del gruppo Mediolanum, progetti nei quali i clan calabresi hanno direttamente investito».
Sarebbe proprio l’uomo cresciuto nell’eversione di destra il collante tra le diverse aree criminali. Per il gip è anche «persona vicina ai Senese e agisce sulla base di precisi accordi che consentono di accedere ai rilevanti affari connessi alla gestione fraudolenta del petrolio a tutte le famiglie, compreso il clan D’Amico che si avvicina a Macori con la mediazione del Muscariello». Un jolly che si muove tra le mafie e arriva dall'estremismo di destra. Una traccia investigativa che a Roma conta già diversi precedenti.