È il giorno del dolore per Catanzaro e per la Calabria intera. Palloncini e corone di fiori bianchi sono stati posti sulla scalinata d'ingresso alla basilica dell'Immacolata. Così parenti, conoscenti, amici e componenti dell'amministrazione comunale hanno atteso l'arrivo del carro funebre per porgere l'ultimo saluto alle tre vittime dell'incendio scoppiato nella notte tra venerdì e sabato nell'appartamento di via Caduti 16 marzo. A perdere la vita Saverio Corasoniti, 22 anni affetto da una grave forma di autismo, e ai suoi due fratelli, Aldo Pio di 15 anni e Mattia Carlo di 12 anni. Ad officiare la messa, l'arcivescovo di Catanzaro, monsignor Claudio Maniago, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace.

Nella chiesa gremita in prima fila anche rappresentanti delle forze dell'ordine. Presenti anche il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso che insieme al sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita hanno espresso il loro cordoglio ai familiari dei Corasoniti presenti alla cerimonia funebre. Assenti invece i nonni materni dei tre ragazzi.

Il monito del vescovo: «Città sgomenta, perché è successo?»

«Siamo qui attoniti, feriti e con nel cuore un dolore indicibile di fronte alla terribile tragedia che si è abbattuta sui piccoli Saverio, Aldo e Mattia».
Nella sua omelia, l’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, monsignor Claudio Maniago, ha testimoniato il sentimento di totale sconcerto che domina in citta dai tragici fatti di via Caduti XVI Marzo.
«Tutta la città di Catanzaro e oltre – ha detto l’alto prelato -, si stringe con un unico cordone d’affetto quasi per arginare l’onda di dolore che ci trafigge il cuore, lasciandoci nello sgomento e nello sconforto. Basta tenere la mano al polso della Città per accorgersi che, su questa triste notizia, su dolore innocente si è registrata la stessa pulsazione di idee e di emozioni. Si è accesa una commozione, che esprime il muoversi insieme, con un passo interiore cadenzato da singolare sincronia».

Maniago ha sottolineato che «ogni bambino, ogni ragazzo è “patrimonio sacro” dell’intera umanità: appartiene a tutte le persone degne di questo nome». «La nostra gente, che conosce bene il dolore – ha continuato, rivolgendo un pensiero ai sopravvissuti, ancora ricoverati in gravi condizioni, mamma Rita, il papà Vitaliano e gli altri figli Antonello e Zaira Mara -, è stretta intorno a questa famiglia colpita da un’immane tragedia. Il dolore estremo, il più lacerante che possa colpire un essere umano, è la sofferenza e lo sgomento di fronte alla morte di ragazzi innocenti. È un dolore che non può essere “detto”, perché le parole non sono in grado di contenerlo ed esprimerlo».

L’arcivescovo ha poi formulato le domande che da venerdì scorso si pongono tutti: «Perché è capitato? Perché così? Perché adesso? Perché proprio lì?».
«Certo - ha continuato - il fatto che questo tragico evento si sia consumato in un quartiere tristemente famoso, che è spesso abitato nella solitudine, con una rarefazione dei legami comunitari (quelli dei partiti, dei sindacati, delle comunità religiose, delle associazioni e altro) e una disgregazione dei legami familiari, ci porta subito a puntare il dito verso quelle periferie dove spesso si concentrano i problemi di ogni convivenza civile, come delle vere discariche di tensioni sociali e umane. Certo le forze dell’ordine, i tecnici e gli inquirenti, faranno luce sulla dinamica dei fatti, ma questa tragedia, di cui siamo testimoni sgomenti, ci chiede il coraggio di riconoscere che tutto questo non darà la risposta ai “perché” che abbiamo nel cuore».
Infine, in chiusura dell’omelia, dopo i passaggi più legati al rito religioso, l’arcivescovo ha lanciato un monito sociale: «Dobbiamo tutti vigilare e contribuire insieme a realizzare una città più concretamente giusta, sicura e solidale, dove a tutti sia data la possibilità di costruire onestamente e con dignità il proprio domani».