VIDEO | Ottavio Forciniti ancora oggi si aggira tra i boschi e i pendii nei dintorni di Longobucco. Un’esistenza solitaria che affonda le sue ragioni in una giovinezza tormentata passata a scappare dai carabinieri che gli davano la caccia. La sua storia, raccontata nel docufilm di Saverio Caracciolo, tra quelle che hanno suscitato più interesse nel corso del 2019 sul network di LaC
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Si definisce l’ultimo brigante della Calabria, e come un brigante dell’800 vive tra le montagne, all’addiaccio, spostandosi da un rifugio all’altro. Segue il ritmo delle stagioni insieme alla sua mandria di mucche di razza podolica, di cui va orgoglioso.
Tra le tante storie che il nostro network ha raccontato nel corso del 2019, ce n’è una che ha suscitato enorme interesse, varcando i confini regionali e confermando, per l’ennesima volta, la maestria di Saverio Caracciolo, fotoreporter e documentarista di LaC che continua ad accumulare premi e riconoscimenti internazionali.
Per giorni interi Caracciolo ha seguito l’ultimo brigante, documentando con la macchina da presa la sua quotidianità, fatta di natura e solitudine, rimpianti e ricordi.
«Non è il lavoro che invecchia le persone, sono i dispiaceri», sussurra Forciniti, ultimo di otto figli («per questo mi chiamarono Ottavio»), che di dispiaceri ne ha avuti tanti. Ma dietro i suoi occhi tristi non balenano lampi di rancore, solo l’accettazione ormai serena di un’esistenza forgiata nelle difficoltà.
A 5 anni rimase orfano e la salita della vita divenne subito ripida. Ripida assai. «Ero piccolo, ma dovevo fare il lavoro dei grandi, dovevo fare quello che mi dicevano di fare. Portavo la legna sulle spalle per chilometri...».
Cresce e quasi inevitabilmente diventa un ragazzo irrequieto, rissoso, che spesso si mette nei guai. Finché il problema diventa impossibile da risolvere. Viene coinvolto in una lite. Spunta un coltello. E arriva una denuncia per tentato omicidio.
«Sbagli che si fanno da giovani – racconta – se avessi avuto l’esperienza di oggi non mi sarei nemmeno trovato coinvolto in quella rissa».
Per sottrarsi alla cattura scappa sulle montagne della Sila greca. Siamo negli anni ’70. Per otto anni Ottavio fugge, mentre i carabinieri non smettono mai di cercarlo. Si nasconde nelle grotte che un tempo venivano usate dai briganti, resta invisibile di giorno e si sposta solo di notte protetto dalle tenebre, facendo razzia in orti e frutteti per procurarsi da mangiare.
Poi, dopo quasi un decennio in fuga, la sua vicenda giudiziaria si risolve, non è dato sapere come e perché. Ciò che si sa è che arriva una “carta” da Roma, come la definisce lui. Qualcuno lo avvisa. Le forze dell’ordine non lo braccano più, potrebbe tornare a vivere come tutti gli altri, in una casa con la tv.
Ma quella interminabile fuga tra boschi e pietraie l’ha cambiato per sempre. Da allora, continua a vivere sui monti, nei dintorni di Longobucco, il suo paese d’origine. Con lui c’è sempre la sua mandria di 40 vacche, con le quali condivide lo scorrere del tempo e il passaggio delle stagioni.
Ed eccolo Ottavio, l’ultimo brigante della Calabria, nel reportage integrale di Caracciolo: