VIDEO | Dopo l’arresto, l’ex latitante proverà a scaricare la colpa della morte del dodicenne su Giovanni Brusca, ma il gip lo inchioda così: «A Firenze ne hai ucciso di più piccoli». La prima puntata di Mammasantissima è un tuffo nella stagione più buia dello stragismo mafioso
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La mafia non uccide donne e bambini. È uno degli ultimi alibi dei boss che, seppur fallito già da anni e ormai smentito dalla storia, è tornato d’attualità con l’arresto di Matteo Messina Denaro. In particolare, dopo il tentativo dell’ex superlatitante di prendere le distanze dall’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. La prima puntata di Mammasantissima accende un riflettore su quella triste vicenda cominciata a novembre del 1993, con il rapimento del ragazzino, all’epoca dodicenne.
Diverse inchieste hanno poi accertato come l’obiettivo dei killer fosse quello di indurre il papà del rapito, Santino Di Matteo, a interrompere il suo percorso da collaboratore di giustizia. Tentativo fallito, ma con conseguenze irreparabili: dopo circa venticinque mesi di prigionia, infatti, suo figlio fu strangolato e poi sciolto nell’acido. Messina Denaro è stato ritenuto uno dei mandanti di quell’orribile delitto, unitamente a Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca.
Ed è proprio su quest’ultimo che, dopo il suo arresto, il boss trapanese tenta di scaricare tutta la colpa dell’omicidio, limitando il proprio coinvolgimento nella vicenda alle fasi iniziali del rapimento. «Hai visto che non c’era più speranza che questo ritrattasse, perché ti sei vendicato sul ragazzino? Sul bambino?» dice rivolgendosi idealmente a Brusca. «Mascalzone che non sei altro» aggiunge, come se lo avesse davanti agli occhi.
In quel momento, però, davanti a lui non c’è il tristemente noto Scannacristiani, ma il gip del Tribunale di Palermo, Alfredo Montalto. «Lei si sta concentrando particolarmente su questo bambino» lo incalza il magistrato, «ma in realtà non è l’unico che le viene addebitato come vittima. Anzi, ce ne sono addirittura di più piccoli».
Il riferimento di Montalto ci riporta al 1993, l’anno delle stragi di Milano, Roma e Firenze. In quella di via dei Georgofili, nel capoluogo toscano, l’autobomba di Cosa nostra carica di esplosivo stermina un’intera famiglia: con Fabrizio Nencioni e la moglie Angela Fiume, muoiono anche le loro figlie Nadia di nove anni e Caterina, poco meno di due mesi di vita. Tra le vittime, figura pure l’allora ventiduenne Dario Capolicchio.
«Sono morti anche lì dei bambini» sottolinea il giudice. «Sì però sono un’altra cosa» prova a replicare l’ex latitante, ergastolano anche con riferimento a quel crimine. Il magistrato, però, non gli dà tregua: «Forse perché la stampa parla di Di Matteo e non parla di quello come sua responsabilità, ma lei ha avuto anche questa condanna».