VIDEO | Si alza la voce delle camere penali calabresi. Il procuratore Falvo: «Cose che convincono, altre meno». Il presidente del Tribunale Di Matteo: «Sfida culturale». I penalisti: «Il vero male è l’abuso della carcerazione preventiva»
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Confidano, gli avvocati, di trovare un insolito alleato, i magistrati, in una battaglia che è «anche politica». «D’altro canto – spiega il presidente della Camera penale di Vibo Valentia Giuseppe Aloi – la riforma Cartabia in fondo è una legge delega al Governo e quindi riteniamo ci siano il tempo e le condizioni per apportare delle modifiche». E che sia una battaglia «politica» lo ribadisce chi è consulente della Commissione parlamentare per la riforma della giustizia penale, ovvero il presidente della Camera penale di Locri Eugenio Minniti: «Noi cerchiamo di essere incisivi, anche a livello corporativo e sindacale, ma il problema che si pone in questa fase è la primazia della politica. Se è la politica a legiferare, solo un’azione sinergica e collaborativa tra magistratura e avvocatura può restituire non solo una riforma concreta ma anche una ritrovata credibilità al sistema giudiziario italiano».
Voci che si alternano, nel contesto e a latere della tavola rotonda che i presidenti delle camere penali calabresi e le loro delegazioni tengono a Vibo Valentia unitamente a chi rappresenta la magistratura, inquirente e giudicante. Il tema: la riforma varata dal ministro della Giustizia Marta Cartabia e i suoi effetti sul processo penale. «Luci e ombre, cose che convincono e cose che non convincono, anche se da prospettive diverse, ecco perché oggi è importante confrontarsi e far emergere sensibilità diverse nell’interesse di un obiettivo comune, che è una riforma che migliori il sistema e non ne acuisca le criticità», commenta il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo. Il magistrato è tra i più attesi dall’assise, unitamente al collega Antonio Erminio Di Matteo, presidente del Tribunale di Vibo Valentia, e al professor Nico D’Ascola, avvocato, accademico, nonché ex presidente della Commissione Giustizia del Senato, chiamato a concludere i lavori.
Ci si confronta su prescrizione ed improcedibilità, sulle modifiche ai riti speciali e alternativi al fine di ridurre i tempi della giurisdizione, sulle pene sostitutive e sulla nuova disciplina della giustizia riparativa, ma anche sulle novità afferenti la riorganizzazione dei palazzi giudiziari, come l’introduzione dell’Ufficio del processo, ovvero nuove professionalità che coadiuveranno i magistrati nella fase preparatoria alla funzione giurisdizionale. «È una novità importante con la quale dobbiamo misurarci, perché cambia non la funzione ma il ruolo del giudice come capo di un ufficio – spiega il presidente Di Matteo – è un banco di prova anche dal punto di vista culturale. Perché se è vero che il sistema italiano, dal punto di vista giuridico è tra i più avanzati tra quelli delle democrazie occidentali, è altresì vero che paesi europei meno avanzati sul piano normativo rispetto al nostro, lo sono molto di più sul piano organizzativo».
L’avvocatura, pur mostrando posizioni critiche su alcuni punti della riforma, coglie la contingenza storica come un’opportunità. Valerio Murgano, presidente della Camera penale di Catanzaro, è illuminante: «Oggi abbiamo sicuramente un ministro illuminato. Sicuramente è una tappa, questa riforma, c’è un inizio, c’è una prospettiva, c’è un cambio di direzione, ma assolutamente non è quello intrapreso il cammino che può risolvere i problemi di questo paese». Quindi, la chiosa, sul “grande male”: «Il sistema è falcidiato dall’abuso della carcerazione preventiva. Abbiamo il 40% della popolazione carceraria che è composta da persone la cui libertà personale è stata ristretta senza che nei loro riguardi vi sia stato un pronunciamento giurisdizionale. È questo il vero dramma e la riforma, purtroppo, non tocca minimamente questo aspetto».