Delle ipotesi di associazione a delinquere, peculato e truffa che avevano oscurato l'utopia del paese dell'accoglienza dopo la pronuncia dei giudici di secondo grado non resta nulla: in piedi rimangono solo i «disordini amministrativi»
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Un anno e sei mesi di reclusione (con pena sospesa) per avere attestato «falsamente di avere effettuato i controlli sui rendiconti di spesa» nel periodo tra luglio e dicembre 2016 (arco temporale che vide l’esplosione della prima, vera, emergenza migranti) e un risarcimento delle spese legali (1400 euro) nei confronti della Siae per una faccenda legata ad un festival musicale. A questo si è ridotta la condanna monstre (13 anni e due mesi di carcere e milioni di euro di risarcimenti e penali) espressa in primo grado dal tribunale di Locri, dopo il clamoroso ribaltamento deciso dai giudici d’Appello di Reggio Calabria nel pomeriggio di mercoledì.
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Una sentenza che, contravvenendo le attese della Procura generale che in sede di requisitoria aveva avanzato per Mimmo Lucano una condanna a 10 anni e cinque mesi reclusione, di fatto, azzera l’ipotesi accusatoria, che aveva bollato il progetto Riace – e 18 dei suoi attori protagonisti – come «all’opposto dello spirito d’accoglienza; un sistema che ha attirato congrui finanziamenti e che è caratterizzato da una mala gestio che vede come parte lesa i migranti stessi».
Cadute le ipotesi associazione a delinquere, peculato e truffa, al termine del secondo grado di giustizia restano in piedi solo i «disordini amministrativi» - che lo stesso Lucano non ha mai nascosto – che avevano oscurato l’utopia del paese dell’accoglienza, vittima di un accanimento politico-mediatico che ha nuclearizzato quanto di buono era stato creato sulle colline di una delle aree più malconce del Paese.
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Non erano quindi illegali le cooperative per la raccolta differenziata con gli asinelli per le vinede del paese vecchio. Non erano illegali le carte d’identità rilasciate ai figli dei profughi per poter accedere al servizio sanitario nazionale, né le mancate espulsioni delle famiglie che avevano burocraticamente sforato i tempi stilati dal ministero. Così come non c’era un desiderio di «arricchimento personale per il futuro» nell’acquisto del frantoio o nelle monete alternative, utilizzate dai migranti nei negozi convenzionati, con la faccia di Peppino Impastato.
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In attesa delle motivazioni della sentenza, le 16 assoluzioni disposte dai giudici di piazza Castello – oltre a Lucano, una condanna a un anno di reclusione con pena sospesa è stata inflitta anche a Maria Taverniti – vanno comunque a fare il paio con le deliberazioni dei giudici di Catania e Firenze sul “decreto Cutro”, rimescolando le carte di una emergenza migranti che va avanti pressoché seguendo lo stesso copione, da almeno venti anni.