L’ultimo scambio di messaggi Francesco Pagliuso lo ha alle 21.45 del 9 agosto del 2016. Tre messaggi nei quali l’avvocato informa l’interlocutore di stare rientrando da Nocera Terinese, dopo aveva fatto visita al figlio, diretto alla sua abitazione di Lamezia Terme.

Gli ultimi messaggi e poi gli spari

L’interlocutore risponde al messaggio alle 22.03, la nota vocale resta però inascoltata. L’ultimo accesso effettuato da Pagliuso nell’applicazione di messaggi resta cristallizzato alle 21.55. Alle 22.15 poi gli spari, tre colpi esplosi in rapida sequenza uditi dalla titolare di un bar/pizzeria in via Marconi che dopo essersi accertata che nulla fosse accaduto nelle vicinanze del suo esercizio commerciale invitava i dipendenti a spostare le proprie autovetture.

Tre colpi di pistola a distanza ravvicinata

Sono gli ultimi istanti di vita del penalista lametino freddato nell’estate del 2016 mentre intento ad uscire dalla sua auto veniva colto da una raffica di colpi sparati ad una distanza di circa 10/20 centimetri. La ricostruzione è condensata nelle 80 pagine di motivazioni della sentenza con la condanna all’ergastolo di Marco Gallo, ritenuto dalla Corte d’Assise di Catanzaro l’esecutore materiale del delitto. «È proprio alle 22.12 che la telecamera installata presso l’abitazione di Pagliuso riprendeva una luce in prossimità della sagoma della vittima, verosimilmente prodotta dall’esplosione dell’arma da fuoco» argomenta la Corte presieduta dal giudice Alessandro Bravin che aggiunge immediatamente dopo: «L’autore del delitto deve individuarsi certamente nel soggetto ripreso alle 22.10 dalla telecamera installata presso l’abitazione della vittima».

Il podista

Un podista. Così viene definito l’uomo che indossa un abbigliamento sportivo (t-shirt chiara e pantaloncini di colore scuro) immortalato dalle immagini di videosorveglianza - e successivamente incastrato anche dalle celle telefoniche – nei giorni del 7, dell’8 e del 9 agosto del 2016. «Stesse caratteristiche fisiche e identica fisionomia», il runner parte dal piazzale Marconi per giungere nel terreno limitrofo all’abitazione di Francesco Pagliuso passando per via Canneto Morelli. Per la Corte d’Assise non ci sono dubbi sul fatto che «il soggetto immortalato nei filmati analizzati sia il killer di Francesco Pagliuso e la sua ripetuta presenza sul luogo del delitto si spiega unicamente con la necessità di studiare le abitudini della vittima, così da poter meglio definire le modalità esecutive dell’azione omicidiaria».

La station wagon

Il podista raggiunge l’area di perlustrazione a bordo di una station wagon. Anche questa immortalata dalle immagini del sistema di videosorveglianza: l’uomo «la sera dell’omicidio si palesava a distanza di solo qualche minuto al sopraggiungere del mezzo in piazzale Marconi, ove parcheggiava. Del pari, a seguito della consumazione dell’omicidio, fatto ritorno il podista nel piazzale di provenienza, l’autovettura immortalata dalla telecamera riprendeva la marcia immediatamente».

Il legame con l'omicidio Mezzatesta

«L’attività investigativa sviluppata a seguito dell’omicidio di Gregorio Mezzatesta – legato al Pagliuso da un profondo legame di amicizia – consente di ritenere che l’autovettura station wagon di colore scuro immortalata nei giorni del 7, 8, 9 agosto del 2016 nei pressi di casa Pagliuso fosse di proprietà e in uso a Marco Gallo, accertato essere stata da lui utilizzata anche per trasportare la moto in occasione dell’omicidio di Gregorio Mezzatesta». I dati di geolocalizzazione dimostrano che vi è perfetta sovrapposizione tra il percorso effettuato dall’auto di Gallo e quello ricostruito attraverso i filmati per raggiungere e, infine, allontanarsi dal luogo del delitto.

Le celle telefoniche

Ma ad incastrarlo vi è anche il gps installato sul telefonino del killer: «La sera del 9 agosto dalle 20.48 alle 22.25 il telefono cellulare risultava collocato lungo la via Marconi a ridosso del piazzale omonimo e alle successive ore 22.30 lungo la via Marconi, all’altezza del centro abitato di località Sambiase. Durante tale arco orario l’utenza generava alle ore 20.44 un evento di traffico dati impegnando la cella che offriva copertura all’area in cui era ubicata l’abitazione della vittima. Essa non generava invece eventi di traffico telefonico sicché è ipotizzabile che il Gallo avesse lasciato il cellulare nella vettura di sua proprietà, parcheggiata proprio, secondo i dati gps del mezzo ed i filmati, nel piazzale Marconi dalle ore 20.48 alle ore 22.25».

Il ruolo di killer

«La presenza di Gallo sul luogo del delitto nei giorni 7, 8 e 9 agosto ed in epoca precedente pertanto si giustifica soltanto con il suo ruolo di killer» conclude la Corte. E il movente è da ricercarsi negli attriti innescatisi tra il legale e la famiglia Scalise a seguito della sentenza emessa nel giugno del 2016 dalla Suprema Corte di Cassazione di annullamento dell’ergastolo nei confronti di Domenico e Giovanni Mezzatesta per il duplice omicidio Vescio Iannazzo. Ricorso curato, appunto, dall’avvocato Francesco Pagliuso che proprio a seguito di questo risultato «aveva confidato ai suoi familiari di essere un prossimo condannato a morte».

I messaggi alla moglie di Scalise

Allontanandosi dal piazzale Marconi la sera del 9 agosto Marco Gallo invia due messaggi all’utenza di Antonella Molinaro, moglie di Luciano Scalise: il primo alle 22.43 e il secondo alle 22.46 dalla quale riceve due risposte alle 22.46 e alle 22.47. «Ed ancora nel pomeriggio del giorno succesivo alla consumazione dell’omicidio, a bordo della sua autovettura si portava a Decollatura, al bar del Reventino (di proprietà di Luciano Scalise ndr). Ma già nelle giornate del 6, 8 e 9 agosto, ovvero nelle stesse date in cui erano stato compiuti diversi appostamenti nei confronti della vittima rivelatisi propedeutici alla sua eliminazione – in orari diurno – l’autovettura di Marco Gallo sostava presso l’abitazione di Luciano Scalise». Quest'ultimo assieme a Pino Scalise sono già stati condannati dal gup del Tribunale di Catanzaro all’ergastolo per essere i mandanti dell’omicidio del penalista.

Non c'è aggravante mafiosa

Resta per la Corte d’Assise indimostrata, invece, l’aggravante della modalità mafiosa. «Non esiste sotto il profilo giudiziario sentenza irrevocabile attestante l’esistenza di una cosca mafiosa denominata Scalise ed i precedenti giudiziari prodotti dalla pubblica accusa sono affatto neutri». È invece dimostrata la premeditazione: «L’attività di preparazione del delitto era stata complessa, poiché Gallo aveva studiato le abitudini della vittima a far data dal mese di giungo 2016, anche attraverso dei sopralluoghi compiuti nei giorni immediatamente antecedenti alla consumazione dell’omicidio, finalizzati, tra l’altro, ad individuare verosimilmente anche il percorso da effettuare per raggiungere il luogo del delitto come dimostrato dagli innumerevoli dati tecnici e registrazioni» si legge nelle motivazioni.

La premeditazione

«Nel corso dei compiuti sopralluoghi aveva deliberatamente lasciato il suo telefono cellulare presso il garage, ovvero all’interno dell’autovettura parcheggiata nel piazzale Marconi. Si era premunito di una arma. Dunque, ricorre una previa pianificazione di occasione e di opportunità per l’attuazione del proposito criminoso nonché l’organizzazione e l’adeguata predisposizione dei mezzi necessari».

L'ergastolo

Da qui la condanna all’ergastolo: «Avuto riguardo all’estrema gravità del fatto; attese le modalità, tempo e luogo di esecuzione dell’agguato; circostanze sintomatiche di particolare intensità del dolo e, dunque, dell’allarmante quadro di personalità che i fatti hanno delineato. L’imputato non merita il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche: tanto importa l’applicazione della pena edittale dell’ergastolo».