VIDEO-REPORTAGE | Parlano le infermiere della casa di riposo divenuta una bomba sanitaria. Severe con la presunta “paziente zero”: «Doveva essere più prudente». E poi: «Ad un certo punto ci hanno abbandonate». E sulle parole di Jole Santelli: «Le cose non stanno così»
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Si sono spenti in silenzio. Rimasti per ore nel loro letto, in quella residenza per anziani che chiamavano casa: salme infette che non potevano essere sfiorate. Altri sono spirati al Policlinico, dove forse sono arrivati troppi tardi.
Nessuna persona cara al loro capezzale e niente funerali. Al tempo del coronavirus morire significa anche questo.
Ventuno morti, su oltre settanta contagiati, nel focolaio della Domus Aurea. Più di Bocchigliero, più di Melito Porto Salvo, è Chiaravalle l’emblema calabrese della strage che il Covid-19 ha procurato nelle case di riposo italiane.
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I superstiti della Domus
Tiziana, Luciana, Maria, Jessica… hanno vissuto in prima persona quello che non esitano a definire «uno strazio».
Sono dieci donne e un uomo, che oggi vivono blindati nella casa protetta della Città Solidale, a Catanzaro Lido, grazie alla fondazione di padre Piero Puglisi, assistiti da Croce Rossa e Protezione civile. Lavoravano in una struttura oggi mestamente chiusa e che difficilmente riaprirà.
Sul focolaio, sui decessi, sulle responsabilità di una tragedia immane sono aperte due inchieste: quella della Regione, chiamata ad indagare anche sui suoi apparati, e quella molto più importante della Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.
«Siamo state abbandonate»
«A un certo punto – dicono le donne che ci parlano dal display di uno smartphone – siamo state abbandonate da tutti». Raccontano come gli anziani si ammalassero uno dietro l’altro. Hanno visto i primi portati via in ambulanza, mentre loro li osservavano da lontano, «riconoscendoli solo dai vestiti… E piangevamo».
Gli anziani si ammalavano e con loro i dipendenti della rsa di Chiaravalle: uno staff sanitario via via decimato. Tutti infettati dal coronavirus. Le dieci donne e il loro collega oggi ospiti a Catanzaro Lido in quarantena obbligatoria sono tutti asintomatici. Parlano per la prima volta. Hanno resistito finché i tamponi non hanno dato esito positivo. Nel loro piccolo, eroi dei nostri giorni e dei giorni bui di Chiaravalle centrale, seimila anime arroccate verso la dorsale appenninica, nell’entroterra calabro.
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Il 22 marzo inizio della fine?
L’inizio della fine, per loro, e soprattutto per quelli che chiamano ancora i «nostri nonnini» reca la data del 22 marzo. Una dipendente è positiva al Covid-19. Riferisce di essere stata in contatto, tra la fine di febbraio e l’8 di marzo, con persone provenienti dal Nord Italia. Potrebbe essere la paziente zero, che via via avrebbe infettato il resto del personale e soprattutto i residenti della Domus Aurea.
«La dipendente lascia subito la struttura – racconta il sindaco di Chiaravalle Domenico Donato – mentre sin dal 23 marzo il titolare denuncia i primi stati febbrili tra gli assistiti. Sono scattati così i controlli…». D’altronde, in un video postato sui social, quello nel quale raccontava delle sue notti insonni col pensiero di Chiaravalle, la governatrice della Calabria Jole Santelli affermava che la Regione avrebbe preso contezza «della situazione» solo il 25 marzo, contestualmente al ricovero nell’ ospedale Pugliese di una paziente proveniente dalla Domus Aurea e risultata positiva al coronavirus. Solo il 25 marzo… Com’è stato possibile?
Fino al 28 marzo si registreranno 49 contagi: solo i 14 pazienti considerati più gravi vengono trasferiti in Rianimazione, gli altri restano nella rsa, assistiti da un organico ormai decimato e dalle visite periodiche del 118.
Dieci (intollerabili) giorni
Dall’accertato contagio della presunta paziente zero, ovvero dal 22 marzo, allo sgombero e al trasferimento al Policlinico di Catanzaro, l’1 aprile, passeranno dieci interminabili giorni. Centrale, nella ricostruzione di questa vicenda, quel documento che reca la data del 30 marzo, all’epilogo di una ispezione guidata da un medico inviato dall’Asp. Tutti i pazienti - viene scritto - vanno ospedalizzati, alcuni sono molto gravi. Nelle stesse ore in tre spirano nella Domus.
La presunta paziente zero
Perché tanto ritardo? Quanti anziani si potevano salvare? Le infermiere in isolamento ricordano con commozione le loro feste: la festa dei nonni, il Natale, il «rapporto speciale» con i parenti degli ospiti affidati alle loro cure.
Non sopportano l’idea che la struttura che era parte della loro vita oggi sia sinonimo di infamia e né che il loro impegno sia infangato. Sono arrabbiate con la presunta paziente zero. «Solo da lì poteva venire il virus», dicono. Perché avrebbe «partecipato ad un compleanno e ad un funerale. Mentre noi – ripetono – facevamo solo casa e lavoro, sempre protette, con le mascherine e tutto… Lei doveva essere prudente e non lo è stata».
«Quelli erano i nostri nonnini»
Nel video social sulle sue notti insonni, la governatrice Santelli aveva ripetuto che la Regione ha fatto tutto il possibile per arginare i tragici effetti del focolaio di Chiaravalle e, implicitamente, scaricava sulla stessa casa di riposo. Raccontava della visita del Nas e delle «criticità riscontrate» che rendevano «insicura la rsa».
«Noi – dicono le ragazze – sappiamo che le cose non stanno così… Le criticità? Forse in quegli ultimi giorni, quando un collega dopo l’altro di ammalava e gestire tutto come prima era diventato impossibile. Ma fino a che non si è registrato il primo contagio la nostra era una struttura modello». Modello – raccontano – perché «quelli erano i nostri nonnini. Li sentivamo davvero nostri».
Le indagini acclareranno cosa è successo e se vi sono responsabilità (ed eventualmente di chi) sul focolaio di Chiaravalle. Chiariranno se l’accreditamento col sistema sanitario fosse al di sopra di ogni dubbio, se vi è stato un corto circuito nelle comunicazioni tra le istituzioni preposte, se vi è stato un ritardo nella gestione di quella che nel volgere di pochi giorni si è trasformata in una bomba sanitaria.
Altro, però, è l’amore e la dedizione che gran parte di questo gruppo di lavoratrici e lavoratori dava alle persone affidate alle sue cure. La Domus Aurea – spiegano – era «una casa, tanto per noi quanto per i nostri nonnini».
Il “perché” di una strage silenziosa
E allora perché questa strage silenziosa. C’è una sola certezza ad oggi: la Calabria non era attrezzata per fronteggiare un’esplosione dell’emergenza Covid. E se tutti i sessanta pazienti fossero stati subito ospedalizzati, per alimentare la possibilità di salvare le vite che via via si sono spente, l’avamposto più importante della regione, Catanzaro, sarebbe subito collassato.
«La Calabria non era pronta»
«L’ho denunciato subito – spiega il sindaco Donato –. Chiaravalle ha pagato un prezzo altissimo per la crisi che vive la sanità calabrese. Se ci sono responsabilità, non sta a me dirlo. Lo chiariranno le indagini. Da parte mia, per quelle che sono state le mie prerogative di sindaco, lo ribadisco, sin da subito ho fatto il possibile per sollecitare un intervento tempestivo delle istituzioni preposte ed evitare o limitare la strage che poi invece si è consumata».