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Aveva trovato il modo per evitare il sequestro e la confisca dei beni avvalendosi della collaborazione del fratello e di due persone di fiducia, attribuendo fittiziamente, ad altri, quote societarie, rami di azienda, denaro e beni per svariati milioni di euro. I sostituti procuratori della Dda di Catanzaro Elio Romano e Domenico Guarascio hanno chiesto il processo per quattro indagati, dopo aver chiuso le indagini nel mese di febbraio. Si tratta dell’imprenditore Raffaele Vrenna, considerato dalla Procura l’istigatore e il beneficiario delle operazioni illecite, appartenente alla cosca dei Vrenna- Bonaventura- Corigliano, del fratello Giovanni Vrenna, del magistrato ora in pensione Francesco Tricoli e diAngelo Agostino Berlingieri, di professione commercialista legato ai Vrenna da precedenti rapporti lavorativi. L’imprenditore Raffaele Vrenna era comproprietario con il fratello Giovanni della società “Sovreco SpA”, con partecipazione diretta al capitale sociale di ben 6 società miste sparse in tutta la Calabria e con qualche legame anche in Campania, tutto nel settore di gestione dei rifiuti, così come era titolare della Mida. Ed ecco l’escamotage per frodare la legge: i due Vrenna insieme a Berlingieri con atto notarile avrebbero costituito e attribuito in maniera simulata azioni e quote ad altri delle società Sovreco e Mida srl per un valore complessivo di euro 5.052.274,92 , stabilendo nell’atto che ogni beneficio economico fosse diviso in parti uguali a favore di Patrizia Comito, Luisa e Valentina Vrenna, rispettivamente, moglie e figlie di Raffaele, al momento del coinvolgimento, presidente dell’Assindustria crotonese, vicepresidente della Confindustria Calabria e presidente del Crotone, mantenendone però di fatto la disponibilità e la proprietà occulta. E a chi affidare l’amministrazione dei beni di un imprenditore condannato per mafia che per legge non può amministrarli? Secondo i magistrati, Vrenna avrebbe scelto proprio il procuratore capo della Procura di Crotone Francesco Tricoli, che da lì a poco sarebbe andato in pensione e la cui segretaria personale non era altro che la moglie di Raffaele Vrenna. Quella stessa Procura della Repubblica che all’epoca dei fatti, prima del decreto di sicurezza che ha affidato le competenze alle "distrettuali" in materia di sequestro e confisca di beni, avrebbe dovuto accertare la provenienza del denaro di Raffaele Vrenna e poi le eventuali misure di prevenzione. Adesso la parola passa al gip del Tribunale del capoluogo calabrese, che una volta fissata l’udienza preliminare, nel contraddittorio tra accusa e difesa, dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta avanzata dalla Procura.
Gabriella Passariello