VIDEO | Il testimone di giustizia Nicodemo Panetta racconta come da titolare di un'agenzia pubblicitaria a Gioiosa Jonica in seguito alla crisi economica del 2008 per stare dietro alle scadenze, decide di affidarsi ad un usuraio entrando in un incubo dal quale riesce a uscire solo denunciando (ASCOLTA L'AUDIO)
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«In casi di estrema necessità, sai che puoi contare su questa “soluzione alternativa”. Soluzione che col passare degli anni però non è più alternativa, ma viaggia quasi di pari passo col tuo percorso di vita e di tentativo di crescita aziendale. Poi col tempo il denaro costa sempre di più. E più il tempo passa e più sono le scadenze economiche da fronteggiare, quindi serve sempre una maggiore liquidità. In quei momenti non c’è la lucidità necessaria per capire che si sta andando verso il baratro. Quando lo capisci, tutto è ormai compromesso».
Nicodemo Panetta è un uomo normale. Imprenditore tipografico e titolare di una avviata agenzia pubblicitaria a Gioiosa Jonica, come tanti altri imprenditori, in seguito alla crisi economica del 2008, paga lo scotto di un accesso al credito “ufficiale” sempre più difficile e, per stare dietro alle scadenze, decide di affidarsi ad un usuraio. Una scelta che lo catapulterà in un incubo costruito su interessi calcolati nell’ordine del 500% annuo e da cui lo stesso Panetta saprà divincolarsi con una coraggiosa (e isolata) denuncia sfociata in 31 arresti tra le cosche di Gioiosa, di Grotteria e di Siderno.
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E lo stesso Panetta a raccontare la sua storia in una intervista andata in onda nella sesta puntata di Mammasantissima – Processo alla ‘ndrangheta.
«L’imprenditore sotto usura secondo me prova dei sentimenti contrastanti tra loro. In una prima fase si prova quasi un sentimento di gratitudine verso l’usuraio che magari con il suo prestito ti ha messo nelle condizioni di pagare una scadenza irrimandabile. In quel contesto ambientale era tutto normale, erano tantissime le persone che si approcciavano a questi meccanismi anche perché, per aver pagato ad esempio 30 mila euro di debiti commerciali attingendo a prestiti usurai, uno se ne ritrova nel tempo 60, 70, 110 mila». Un incubo di soldi che chiamano altri soldi, ovviamente tutti sulle spalle della vittima, da cui sembra impossibile uscire. È l’aiuto e la comprensione di un capitano della guardia di finanza di Locri a cambiare le cose.
«Ai primi di aprile sono stato convocato dalla guardia di finanza per alcune delle mie operazioni bancarie. Sospettavano che io fossi finito in un giro di denaro a strozzo, ma la paura era tanta e io fui reticente. Alla fine il comandante mi diede un bigliettino “se avessi cambiato idea – mi disse – quel numero mi sarebbe servito”». Trovare il coraggio di denunciare però non è una cosa semplice. Tra i nomi finiti nell’inchiesta – i Jerinò “manigghjia” e gli Ursino di Gioiosa, i Rumbo di Siderno, i Mazzaferro di Marina, i Bruzzese di Grotteria – ci sono alcuni dei casati più influenti del mandamento jonico.
Guarda l'intervista a Nicodemo Panetta:
Intanto il tempo passa e i debiti con i cravattari diventano sempre più opprimenti. «Il mio indebitamento con loro era superiore ai 300mila euro, e non di poco – racconta Panetta che da anni ormai, assieme alla sua famiglia, vive lontano dalla Locride e sotto la protezione del programma destinato ai testimoni di giustizia – Oltre ai problemi con le banche, i debiti commerciali, l’agenzia delle entrate, i debiti usurari diventarono assolutamente prioritari rispetto ad esempio a quelli con le banche. Nel giro di poco più di un anno e mezzo riuscii ad abbattere il mio monte debitorio di circa 150mila euro però malgrado ciò ci fu qualcuno che continuò ad essere sempre più minaccioso. Alla fine, dopo tanti anni di usura subita c’è sempre qualcuno che sempre si rende disponibile a farti altri prestiti usurari. Ormai lo fa prestandoti i tuoi stessi soldi, nel senso che gli interessi che hai pagato nel tempo sono di molto maggiori al capitale usurario inizialmente messo a disposizione dall’usuraio stesso. Ad un certo punto, ma sempre troppo tardi, ti rendi conto che purtroppo si sono presi la tua vita».
Quando la situazione sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno Panetta, grazie anche al supporto del suo legale, l’avvocato Michele Gigliotti, decide di riprendere il dialogo con gli investigatori: «Un po’ più lucido di quanto fossi stato in passato, avevo iniziato a dialogare con il comandante della guardia di finanza di Locri sperando sempre di non dovere arrivare alla denuncia. Iniziai a dare contezza specifica di quello che erano i miei problemi rimarcando però che se qualcuno si fosse nel tempo ammorbidito non avrei mai posto la firma sulla denuncia e a tal proposito ricordo sempre, con eterna ammirazione, l’umana comprensione del mio interlocutore che aveva capito che io non avrei mai voluto allontanare le mie figlie e mia moglie dalla nostra terra. A gennaio 2013 la situazione degenerò ed infatti il 13 marzo del 2013 firmai la denuncia. C’è voluto del tempo affinché tale decisione fosse condivisa anche da mia moglie che nel frattempo aveva avuto purtroppo modo di capire meglio e toccare con mano quello che stava davvero accadendo e soprattutto quello che sarebbe potuto accadere in prospettiva».
Le indagini di Guardia di finanza e carabinieri durano tre anni e, nel marzo del 2016 scattano le manette per gli scagnozzi del clan che avevano messo sotto strozzo una cinquantina di piccoli imprenditori della zona. Le dichiarazioni di Panetta sono state determinanti, ma la sua vita, e quella della sua famiglia, sono cambiate per sempre: «Io nella mia situazione non ho potuto permettermi di scegliere il bene migliore ma ho dovuto per forza scegliere il male minore. Lo dovevo in modo particolare alle mie figlie vittime innocenti di questa storia che nel febbraio del 2014 senza se e senza ma hanno dovuto assieme a mia moglie lasciare una vita per provare a ricominciarne un’altra».