«Però scusa un attimo… come quello che ho capito io è tutto nelle mani di Totò è vero o no? … E coso quello che controlla (inc.) Peppe Serranò sono loro che prendono bene o male». Sono intercettazioni che scottano quelle captate dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e compendiate all’interno di una informativa depositata fra gli atti del Tribunale del Riesame nell’ambito dell’inchiesta “Libro Nero”. Scottano perché attualissime e riguardanti uno degli episodi che più aveva destato scalpore negli ultimi mesi in città ossia il danneggiamento di “Passion Pizza” l’esercizio commerciale ubicato sulla via Andiloro, nel quartiere “Spirito Santo”, ad un tiro di schioppo da Cannavò, zona storicamente dominata dal clan Libri. Ed è proprio di presunti affiliati al clan un tempo capeggiato da “don” Mico Libri che parlano i protagonisti della vicenda.

Prima dominava “Pietro”

I poliziotti, infatti, hanno messo per diverso tempo sotto intercettazione alcuni soggetti ritenuti d’interesse per provare a capirne di più del fatto avvenuto. Alla conversazione intercettata hanno partecipato, oltre al titolare dell’esercizio commerciale (incensurato), anche diverse persone ritenute vicine, per precedenti o per vincoli parentali, al clan Serraino. È uno dei conversanti a riferire che, un tempo, il quartiere “Spirito Santo” era di competenza di tale Pietro, ormai defunto, circostanza confermata da altro partecipante alla conversazione che ricordava come Pietro fosse poi scomparso. Il riferimento, ritengono gli investigatori guidati da Francesco Rattà, è a Pietro Nicolò, padre di Alessandro (il consigliere regionale arrestato il 31 luglio scorso), scomparso nel gennaio 2004.

La lotta per il potere

Tutti gli interlocutori sono d’accordo: la zona di “Spirito Santo” sta attraversando un periodo di tensione. Secondo uno dei partecipanti ci sarebbe grande confusione: «Un bordello (inc) che non lo possiamo neanche sapere». Un altro ribatte che loro non potevano saperlo, in quanto appartenenti alla famiglia Serraino: «Non le possiamo sapere come loro non possono sapere le nostre cose». E poi il giudizio netto: «C’è il manicomio». S’interessa molto il proprietario del locale preso di mira. Vuole sapere chi gestisce le sorti della famiglia Libri e spiega che, per quanto ne sa lui, a gestire sono un certo Totò e Giuseppe Serranò. Uno dei presenti conferma. Il giovane riprende: «Controllano loro sì o no?». E la conferma arriva di nuovo: «Sì». Allora giunge la precisazione: «Non è che noi gli abbiamo mancato di rispetto». Uno dei conversanti, di quelli che conoscono le dinamiche criminali, aggiunge che, una volta usciti dal carcere alcuni esponenti della famiglia, ci sarebbero potuti essere dei problemi: «Allora là sai com’è il discorso che Mico là… quando escono si ammazzano perché c’è Nino Caridi non è il genero di Mico quello è ognuno…». E Nino Caridi è proprio colui che è stato attinto dalla misura emessa nell’inchiesta Libro nero.

Serranò il fontaniere

Che si parli di Giuseppe Serranò è chiaro anche da successive intercettazioni, dove il proprietario di “Passion Pizza” spiega di averlo conosciuto, identificandolo come “il fontaniere”. Tutti lo considerano una persona molto seria, sulla quale non vi era nulla da nascondere, perché ritenuto capace: «Vedi che è serio ah? Io lo conosco, lo conosco bene, bene bene, ma bene proprio, siamo (inc.) ti dico la verità, non c’è da nascondere, ti dico, è numero uno! Ma lui e Totò sono numero uno».

È proprio per questo che il proprietario della pizzeria rimane un po’ perplesso che personaggi di quel calibro non sapessero nulla del danneggiamento al locale: «Però è impossibile che non ti dicono niente questi cristiani? Ma è impossibile, perché è una cosa veramente, per non sapere niente loro…». Circostanza confermata anche da altra persona presente: «Non lo sanno… non stanno, non stanno riuscendo… Non stanno riuscendo a saperlo».