«Ricordo di aver disposto il verbale, ma non ricordo se vi fossero Carbone e Raimondi. Certamente se c’è la firma del sottoufficiale dei carabinieri, significa che ne avevo dato atto. Non conoscevo comunque questo medico, al quale ho chiesto preventivamente se fosse in grado di eseguire questa consulenza, ma senza dubbio le risposte ai quesiti sono state riferite dal medico presente nella sala mortuaria». Sono le parole di Ottavio Abbate, ex pm di Castrovillari, sentito in aula dalla Corte d’Assise di Cosenza. L’escussione è stata portata avanti in prima battuta dalla difesa di Isabella Internò.

«Mi era sfuggito che non c’era la firma di Raimondi. Le ispezioni cadaveriche si facevano per vedere se fosse chiara la causa della morte e si valutavano le macro evidenze sul cadavere. Faccio un esempio: quando si fa un’ispezione cadaverica, si tende a verificare gli elementi che in qualche modo possano condurre all’epoca della morte e per fare questo in genere questo accertamento si fa con la digito-pressione». Abbate inoltre ha sottolineato come «tutte le cose presenti nel verbale sono state eseguite».

L’autopsia sul corpo di Denis Bergamini

«L’autopsia? In genere si fa quando occorre accertare la causa della morte e quando non occorre questo l’autopsia non si fa. È anche un’attività pleonastica, perché si deve avere il sospetto che la causa della morte non sia macroscopicamente evidente. La causa della morte era palesemente evidente, da quanto detto da coloro i quali, chi aveva assistito alla scena, ovvero la fidanzata di Bergamini, che in quel momento era una testimone oculare, sulla quale non esisteva alcun minimo dubbio. Lo avevano detto i testimoni che erano accorsi anche dopo e lo stesso camionista. Non c’erano quindi nessuna evidenza di possibile contraddizione. Venne subito dopo da me il padre di Bergamini e il presidente del Cosenza, Antonio Serra, dicendomi: “Dottore se vuole fare l’autopsia ci risparmi questo strazio“, disse il padre di Denis. E il presidente del Cosenza mi ribadì questa cosa, prospettatagli prima dai familiari del calciatore del Cosenza. Ho dunque ritenuto che non ci fosse il bisogno di procedere agli accertamenti per stabilire alle cause della morte. Perché l’ho fatta dopo? Perché il caso assumeva i connotati del processo mediatico. La posizione della famiglia che era contro l’autopsia è mutata. Allora ho pensato "perché non doveva essere l’autorità giudiziaria a non favorire un’ulteriore richiesta di trasparenza". L'ho fatto quindi per tranquillizzare ancora di più i familiari, disponendo l’autopsia nella sede di residenza della famiglia, delegando il pubblico ministero competente, autorizzandolo a scegliere lui il consulente. Avato? Non l’ho nominato io, ma il pm che avevo delegato».

Abbate poi ha riconosciuto i verbali sui quali era presente la sua firma. L’avvocato Angelo Pugliese ha chiesto infine come si presentava il corpo di Bergamini: «Era coperto da un lenzuolo che abbiamo tolto quando abbiamo fatto l’esame, il cadavere era senza vestiti davanti e che aveva dei frammenti dei vestiti nella parte bassa». «Sulle braccia segni di puntura? Non lo ricordo. Io posso dire che in genere questo accertamento lo facevo. Petecchie negli occhi? Non credo. Le labbra cianotiche? Se lo avessimo verificato e visto, lo avremmo scritto». In conclusione, «non ho mai conosciuto Isabella Internò e i suoi familiari prima di questo avvenimento».

Processo Bergamini, Abbate esaminato dalla procura di Castrovillari

Il procuratore capo di Castrovillari Alessandro D’Alessio, nel corso del suo esame, è ritornato sull’ultima parte delle dichiarazioni rese da Abbate alla difesa di Isabella Internò, specificatamente sull’accertamento svolto dal pm del luogo. Poi il magistrato d’Alessio ha affrontato anche il provvedimento del giudice di Castrovillari che in rogatoria autorizzò l’esecuzione dell’esame autoptico. «Avevo il potere di disporre questi accertamenti», ma il pm attuale ha evidenziato che fu il gip a individuare il pubblico ministero in servizio in Emilia Romagna. «Non conoscevo il dottor Raimondi, mai visto prima né sentito nominare».

La richiesta del primo incidente probatorio, relativamente all’autopsia, venne fatto nove giorni dopo la morte di Bergamini. «Non ricordo chi fece il riconoscimento del cadavere, ma le posso descrivere – riferendosi al procuratore d’Alessio – il contesto. Non so dirle perché non fu fatto dai parenti. Davanti a un personaggio noto il riconoscimento era una pura formalità, ma le dico che io posso rispondere alla sua domanda in modo fotografico. La circostanza per cui è avvenuta una cosa rispetto a un’altra, ma aggiungo che per mettere in relazione l’intervento del papà di Bergamini, quando mi chiese di non fare l’autopsia, con l’esame cadaverica, posso dare dei dati. Mi arrabbiai tantissimo quando andai all’ospedale di Trebisacce, perché non era preservata la riservatezza di quell’accertamento, visto che la sala si trovava vicino a un posto dove c’erano altre persone, tra cui il papà di Bergamini e il presidente della squadra di calcio».

Altra domanda della procura di Castrovillari è stata quella sull’ipotesi di reato, relativamente all’omicidio colposo. «Quel verbale senza la partecipazione della difesa di un presunto soggetto interessato all’indagine, è chiaro che quel verbale, rispetto ai difensori, non ha alcun valore. Quindi non mi posi alcun problema, perché dopo l’esame autoptico fu fatto con tutte le garanzie». Della morte di Denis lo informò il maresciallo Barbuscio.

Processo Bergamini, Abbate e le domande della parte civile

L’avvocato Fabio Anselmo è ritornato sulla questione dell’autopsia. «Il papà di Denis non si fidò di farla eseguire in Calabria» ha chiesto il legale della famiglia Bergamini. «Lui ribadisco mi disse: “Se lei ha intenzione di fare l’autopsia ci risparmi questo strazio“». Poi l’esame testimoniale ha toccato l’argomento dell’ispezione cadaverica. «La ricognizione le facevo tutte allo stesso modo, la mancanza della firma non l’ho mai notata. E’ un grave errore, cosa vuole che le dica» ha risposto Ottavio Abbate. Subito dopo il presidente Lucente ha evidenziato il fatto che il pm dell’epoca aveva coadiuvato il consulente medico. «Certo, ho sempre fatto così, per verificare le ipostasi, le rigidità cadaveriche non muscolari».

Anselmo, inoltre, ha ripreso un’emergenza processuale: le dichiarazioni di Raimondi. «Il corpo non era vestito, ma era coperto solo nella zona inferiore. Il torace era totalmente scoperto. Questo verbale era assolutamente genuino», trovando la contrarietà labiale di Anselmo. «Escludo categoricamente che non siano stati fatti gli accertamenti materiali posti nel verbale. Parlare di quelle cose, senza averle fatte, è totalmente impossibile». La seconda questione. «I politraumatismi c’erano o non c’erano? Se non c’erano abbiamo sbagliato. Ma se c’erano e nessuno li ha messi in dubbio, come si fa a dubitare questa cosa». Ma Anselmo ha escluso, citando i consulenti post-autopsia, che vi fossero i politrauma, richiamando le lesioni mono-focali. «Avrà sbagliato il consulente, allora?». E ancora: «Anatomopatologo da Bari? No, non doveva venire nessuno, ma qualora dovessimo fare l’autopsia sarebbe venuto il professore Di Nunno dalla Puglia». Abbate ha anche detto di essere stato avvisato della morte di Bergamini alle 7 di mattina del 20 novembre 1989. «I dati oggettivi non si possono contestare, io credo che nessuno possa immaginare che quello che c’è scritto in questo verbale non sia avvenuto». Anselmo ha insistito ancora sulle parole rese da Carbone e Raimondi. «Non mi so spiegare sul perché abbiano detto quelle cose».

Sempre la parte civile, attraverso l’avvocato Alessandra Pisa, ha battuto altre argomentazioni, circa la scelta di Raimondi rispetto a un altro medico chirurgo. «A Castrovillari avevo due medici di riferimento che erano disponibili ad intervenire con urgenza. Non so perché quel giorno non abbia chiamato questi. Non ricordo se la polizia giudiziaria non li abbia trovati. Ricordo che andai a Trebisacce dalla polizia giudiziaria, ma presumibilmente mi dissero che avrebbero reperito un medico del posto», aggiungendo di non ricordare gli atti materialmente compiuti su Bergamini, spiegando nel dettaglio cosa avveniva per verificare la presenza di ipostasi.

Processo Bergamini, medico e carabiniere l’uno di fronte all’altro in aula

La Corte d’Assise di Cosenza ha disposto il confronto in aula tra il maresciallo dei carabinieri Antonio Carbone, all’epoca verbalizzante dell’esame cadaverico di Bergamini, e il medico chirurgo Antonio Raimondi, risultante consulente tecnico nel documento acquisito agli atti, che in precedenza aveva disconosciuto il contenuto della relazione. «Non è il mio modo di esprimermi. Sono sempre stato abituato a firmare con il mio timbro qualsiasi referto medico» ha detto il dottor Raimondi. «Non ricordo di aver dato quelle risposte» ha aggiunto. «Confermo che è stato lui a dirmi quelle cose» ha replicato Carbone.

Processo Bergamini, cosa era successo prima del confronto tra i due testimoni

Prima di arrivare al confronto tra il dottor Raimondi e il carabiniere Carbone, la procura di Castrovillari aveva sentito in aula il medico originario di Trebisacce. Nel corso dell’escussione, il testimone (che ha lamentato un deficit mentale subentrato dopo il 2017, anno in cui era stato sentito dall’autorità giudiziaria) ha raccontato che al pronto soccorso di Trebisacce, il 20 novembre 1989, c’erano delle persone che gli volevano parlare. Glielo aveva comunicato un inserviente della struttura ospedaliera dell’Alto Jonio cosentino. «Non mi disse chi erano. Perché mi sono mosso? Per la mia disponibilità di medico».

Raimondi ha detto di aver trovato due-tre persone nella sala mortuaria di Trebisacce, dove era adagiato il corpo di Denis Bergamini. «Mi ricordo benissimo che, entrando nella sala mortuaria, c’era una persona adagiata sul letto con una depressione dell’addome. Ma l’ho notato in maniera visiva in poco tempo» ha aggiunto Raimondi. «Chi erano? Erano persone extra-ospedaliere» ha spiegato il dottore di Trebisacce, chiarendo – e assumendone la sua responsabilità – di non aver mai dato «pareri tecnici sulle cause della morte. Se uno dice quelle cose», ovvero che la vittima fosse deceduta per un arresto cardiorespiratorio «è da portare al manicomio o comunque si dimostra ignorante». Poi a domanda della parte civile ha dichiarato che si è sentito messo in mezzo. «Mi sono sentito sfiduciato, io sono un medico di vecchio stampo, legato alla società contadina, mi definisco un medico contadino».

Processo Bergamini, la testimonianza del carabiniere Carbone

Dopo Raimondi, è toccato al maresciallo dei carabinieri, ex comandante della stazione di TrebisacceAntonio Carbone. «Ricordo che era domenica mattina e presidiavamo l’ospedale, temendo che da Cosenza potessero arrivare i tifosi. Fui invitato a redigere il verbale dal dottor Abbate, perché avevo una bella grafia. Prima dell’arrivo del dottor Abbate non c’era nessun altro».

Sia la procura di Castrovillari che la parte civile hanno fatto notare la mancanza della firma del dottor Raimondi nel verbale di riconoscimento della salma di Denis Bergamini, dove erano indicate delle domande stabilite, a dire di Carbone, dall’ex pubblico ministero di Castrovillari Ottavio Abbate. «Può darsi che sia stato un errore il fatto di non aver fatto firmare il verbale pure a Raimondi» e ha ulteriormente precisato, avvicinandosi al banco della Corte d’Assise di Cosenza, a seguito delle domande postegli dal presidente Paola Lucente. «Le domande me le ha suggerite il pm, le risposte erano quelle del consulente medico, ricordo il dottor Raimondi, o comunque si diceva che dovesse arrivare un patologo da Bari», che veniva interpellato frequentemente dalla procura di Castrovillari, come successe in un caso di omicidio avvenuto a Cerchiara di Calabria. «Non mi sono mai posto il problema sul fatto che nessuno avesse toccato il cadavere di Bergamini».

Rispetto alle domande della difesa, Carbone ha detto che «in mia presenza Bergamini non è mai stato spogliato, visto che è stato fatto solo un accertamento visivo. Mai parlato con Raimondi prima di questa cosa, né ho mai conosciuto la famiglia Bergamini, oltre a non aver mai ricevuto pressioni dal dottor Abbate. Qualora fosse successo sarei andato immediatamente dal procuratore di Castrovillari».

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