A cura di Soccorso Capomolla*

L'esigenza forte di una nuova nuova coerenza nella gestione del management sanitario, rimanda alla dimensione etica della leadership. I direttori sanitari devono imparare a mettersi al servizio della struttura che si presiede (dipartimento, azienda) impegnandosi per fare  del proprio agire, del proprio potere, un elemento di ordine e indirizzo. Per far ciò la leadership dell’organizzazione deve essere uniformata e condividere i valori fondanti. Il manager deve ispirarsi a criteri di giustizia: assegnare a ciascuno il merito appropriato o l’equa sanzione, che produce negli operatori la percezione esatta della assenza di discriminazioni. Insomma, deve essere trasparente ed orientare impegno e azione alla realizzazione della missione. Deve essere leale, creare rapporti basati sulla fiducia, sulla correttezza, sull’autonomia, sull’indipendenza di giudizio, sulla sincera espressione delle proprie opinioni,ed avere l'umiltà di cambiarle laddove necessario. Deve agire secondo responsabilità, disponibilità e capacità di rispondere agli altri delle proprie azioni e dei propri comportamenti; deve perseguire onestà intellettuale e materiale. Deve infine essere disposto alla collaborazione, per unire i propri sforzi con quelli degli altri soggetti coinvolti nell’organizzazione; deve essere solidale e cercare la concordia tra i membri dell’organizzazione, dare sostegno reciproco alle idee e alle aspirazioni di ciascuno. E deve essere in grado di declinare tutto questo nella dimensione corporativa, sanitaria, finanziaria.

 

Le regioni virtuose e la Calabria

Questi principi di base devono riverberarsi concretamente su aziende, management, governance e riorganizzazione sanitaria. Ma per essere attuati, si deve intervenire su finanziamento e mission del servizio sanitario regionale. Oggi la determinazione dei fabbisogni standard per l’erogazione dei livelli di assistenza sono adeguati alle linee dettate dalle tre regioni virtuose, dette regioni benchmark, che costituiscono per l’anno precedente il riparto di riferimento per il costo delle prestazioni in materia di assistenza collettiva, assistenza territoriale ed assistenza ospedaliera. Vista la differenza di layout sanitario tra regioni (layout: ripartizione di strumentazioni, risorse umane, infrastrutture, ndr), la deputazione politica calabrese dovrebbe battersi perché accanto al costo standard venga riconosciuta la necessità di un layout standard.

 

I numeri del disastro

Nel 2018, le regioni benchmark sono state Umbria, Veneto e Marche presentavano una quota media di personale addetto alla sanità di 12,1 unità di personale ogni 1000 abitanti. In Calabria per raggiungere la barriera di benchmark mancano 5306 unità. Inoltre, l’offerta letti ordinari è mediamente di 3.3 letti per mille abitanti contro 2.8 letti x 1000 abitanti della Calabria. Questo significa che per avere la stessa linea produttiva necessitano altri 1000 posti letto in Calabria. Infine: se andiamo a valutare la rete della continuità assistenziale nei soggetti anziani, vediamo che per ogni 70 ricoveri in ospedali per acuti abbiano 20 posti letto o assistenza domiciliare integrata in Calabria, mentre ne abbiamo 40 nelle Marche, 50 in Umbria, 75 in Veneto. Altro gap, le grandi apparecchiature: risonanza magnetica, tac, angiografo, pet. Qui passiamo dai 6.2 apparecchi a 5 per ogni 100.000 abitanti. E questo comporta che per avere la stessa linea produttiva delle regioni virtuose, dovremmo avere altre 20 grandi macchine. Infine, la quarta riflessione. Su 38 ospedali HUB (grandi ospedali) 21 sono allocati al nord.

 

La crisi del sistema

Ecco che si evince come siano gli stessi gap strutturali ad aggravare il sistema: la Calabria presenta un layout standard fortemente carente, un costo di produzione maggiore ed una offerta minore rispetto alle regioni benchmark. Avere apparecchiature e risorse in più consentirebbe e di intercettare il punteggio LEA, e quindi la quota premiale. Il ricalcolo della quota pro-capite, tenendo conto della corretta pesatura di un programma di riorganizzazione con un piano di ammortamento quadriennale, consentirebbe di avere un surplus pari a 687.794.800 di euro; tale cifra, garantendo condizioni di equità distributiva, consentirebbe un recupero dell’appropriatezza organizzativa, capace di intercettare la barriera di benchmark.


Il manager sanitario deve adeguarsi

Per giungere a questi livelli, le aziende devono dotarsi di strumenti gestionali, ad iniziare da una valutazione analitica dei fattori che condizionano inefficienza. Il top management che si identifica nelle figure del direttore generale, sanitario aziendale ed amministrativo, deve adeguarsi. Queste figure hanno visto negli anni mutare la loro funzione strategica; in particolare il direttore sanitario, da gestore di aree aziendali è diventato artefice di mediazione e di creazione di competenze relazionali tra i vari soggetti del mondo sanitario e socio sanitario, al fine di creare le condizioni perché il middle management persegua gli obiettivi assegnati dall’azienda e dalla regione. 


Il cortocircuito della scelta politica dei manager

Il legislatore nazionale ha lasciato alla regione ampi margini di autonomia nella definizione degli obiettivi di performance per la valutazione dei direttori generali. Scegliendo i manager, la politica ha creato un cortocircuito. Il fatto che il top maganement goda di una base “fiduciaria” politica, ha disallineato l’azione del management dagli obiettivi e dai risultati. Tale disallineamento sicuramente non ha contribuito a creare una squadra gestionale sulla cui filiera è possibile definire funzioni responsabilità e azioni di verifica. Basti pensare che un direttore generale in Calabria ha una vita media di 1,7 anni contro i 4,5 del Veneto. I nostri dirigenti sono al 45 % nominati per la prima volta, non vengono da esperienze in altre regioni, non vengono dalla sanità e dopo le dimissione abbandonano l’ambito sanitario. Inoltre il manager nominato dai partiti si limita alla gestione corrente, delegando la gestione strategica alla funzione politica, del tutto estranea al fabbisogno sanitario corrente ed emergente. Tutto questo ha determinato sistematicamente un mancato raggiungimento degli obiettivi ed uno sperpero delle risorse.

 

Scegliere sulla base delle competenze

La selezione del top management deve essere effettuata in base ai risultati e alle competenze e non a titoli formali. Le capacità gestionali devono essere verificate ogni tre mesi, bisogna investire sulle risorse del middle management, costruire un nuovo capitale di competenze e di professionalità. Le aziende sanitarie dovrebbero investire molto di più nell’analisi dei bisogni di salute, nella ricostruzione dei percorsi imposti dai cittadini, nell’accesso ai servizi e nel percorso di diagnosi e cura, nella valutazione sistematica di indicatori di performance quanti-qualitativi, e in generale nel tradurre i comportamenti degli attori in un flusso informativo, che consente d’ associare le decisioni del management a obiettivi di miglioramento oggettivi e misurabili.

 

Il fallimento del piano di rientro

I dieci anni di piano di rientro hanno demolito le competenze all’interno del Dipartimento logorato in una condizione di falso attrito tra committenza politica e struttura commissariale. È inderogabile la riorganizzazione di un Dipartimento della Regione Calabria , che possa accentrare le competenze di programmazione, coordinamento, indirizzo e controllo delle aziende. 

 

* Dal 1 settembre 2019, il dottor Antonio Soccorso Capomolla è il nuovo direttore sanitario del Sant’Anna Hospital. Cardiochirurgo formatosi a Pavia, città dove ha lavorato per anni. Capomolla ricopre anche l’incarico di direttore della Cardiologia/Utic del S. Anna. Per vent’anni ha lavorato presso l’Unità per lo scompenso cardiaco del Centro Medico di Montescano (PV), è stato direttore dal 2007 del Polo Specialistico Riabilitativo della Fondazione “Don Gnocchi” a Sant’Angelo dei Lombardi (AV) e, dal 2013, direttore sanitario della casa di cura Villa dei Gerani a Vibo Valentia.


Fellow of European Society of Cardiology (FESC), Capomolla è stato insignito nel 2004 della fellowship della Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Nel 2012, il master in Management delle aziende sanitarie alla Bocconi di Milano. Membro della commissione per la stesura delle linee guida di telemedicina, istituita presso il Ministero della Salute, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. L’ultima, Report sanità Calabria dopo il piano di rientro, appena data alle stampe. La sua è una analisi impietosa ma ricca di spunti concreti sul cortocircuito che negli ultimi 40 anni ha determinato il disastro della sanità calabrese. Uno scenario a tinte forti, dove «la priorità è recuperare l’etica della leadership».