«Ho sentito parlare di stragi, per la prima volta, a Milano. Era dopo il fallito attentato all’Addaura, ma prima che finisse la guerra di ‘ndrangheta e fosse ucciso il giudice Scopelliti. Lo ricordo perché c’erano già le trattative per la pace e Mico Libri aveva detto che certe cose andavano fatte insieme, uno di loro ed uno di noi». È stato il giorno di Nino Fiume, ieri, al processo ‘Ndrangheta stragista. Il collaboratore di giustizia ha ripercorso le sue conoscenze, già per buona parte riportate in altri procedimenti, soffermandosi sul ruolo della famiglia De Stefano, suo casato di appartenenza prima del pentimento. Fiume ricorda di aver partecipato a diverse riunioni fra Badia, Nicotera, Limbadi e Rosarno. «Ho dormito quasi un mese lì a Limbadi, perché non si è trattato di una riunione di un’ora. Prima ce n’è stata una “stretta stretta” fra i capi a casa di un parente dell’autista di Luigi Mancuso, Antonio Pronestì “Nasu scacciatu”, che si trova nella frazione Badia di Limbadi. C’era Pino Piromalli, Nino Testuni, Schettini e Franco Coco Trovato».

Il consorzio

Secondo il collaboratore di giustizia «Cosa nostra e ‘ndrangheta, per certi versi, erano la stessa cosa». Ricorda l’omicidio Mormile come «una cosa brutta», ma soprattutto «programmata dal consorzio e che doveva avvenire in contemporanea con il fatto di Bologna». Ma cosa è il consorzio? Per Fiume era il «potere assoluto che dominava su tutti, perché all’interno c’era ‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra, Sacra corona unita. Molti lo hanno definito come una specie di federazione, ma questo consorzio aveva il monopolio di tutto lo stupefacente che girava in Italia e tutti lo dovevano comprare da loro. Addirittura alcuni omicidi potevano essere decisi solo dal consorzio. Loro, per riconoscersi, avevano tutti lo stesso bracciale. Il capo un girocollo, che era di Mico Papalia. Una volta lo lasciò a Peppe De Stefano». Fiume ricorda come il primo consorzio fu costituito a Milano, negli anni ’70. Il secondo fra il 1986 e 1987, all’epoca di Jimmy Miano, Turi Cappello, Antonio Papalia, Fraco Coco Trovano ed altri. «Alcune volte ho partecipato pure io alle riunioni in rappresentanza dei De Stefano».

Cosa Nuova e massoneria

Le conoscenze del collaboratore spaziano anche sulla cosiddetta “Cosa nuova”. «Ne ho sentito parlare durante una riunione in cui erano presenti Giuseppe De Stefano, Cataldo Marincola e Giuseppe Farao. Bisognava fare terra bruciata delle persone che sapevano troppe cose. Occorreva eliminare coloro che erano al corrente di determinati fatti e ricercare gente riservata». Fiume non ha dubbi: «I De Stefano avevano contatti con la massoneria deviata. Una volta, Carmine De Stefano, uscendo da uno studio di Milano mi disse “dimentica che siamo stati qui”. Avevano società in cui, come mi disse l’avvocato Tommasini, “non poteva entrarci neanche il presidente della Repubblica” e i loro soldi venivano portati in Vaticano tramite Giuseppe De Stefano e Franco Coco, travestiti da preti».

‘Ndrangheta come un treno

Secondo Fiume, la ‘ndrangheta «può essere paragonata ad un treno con tanti vagoni. Ogni vagone ha il suo capo che è il capolocale. Poi c’è il capotreno. Poi abbiamo i treni ad alta velocità, dove non possono salire tutti ma solo i capi. Al di sopra di questo c’è anche chi viaggia in aereo, dirige gli scambi, dirotta i convogli senza mai farsi vedere. Sono state combattute guerre, uccise persone e chi lo ha fatto non sapeva neppure il vero motivo. Mi riferisco, ad esempio, all’omicidio del giudice Occorsio, con Papalia che ha fatto l’ergastolo da innocente. Vi dico: c’è gente che non può collaborare perché ha preso ordini dai servizi segreti.

Paura di parlare

Il pentito certi argomenti non li ha mai toccati prima. «Avevo paura», riferisce in aula. «Non so quanti di questi sono ancora in giro, ma è gente che poteva trovarti ovunque, raggiungerti ovunque. Io ho avuto a che fare con uomini dei servizi “puliti” di Reggio Calabria, ma se ‘Ntoni Gambazza che era un capo, Mico Alvaro che era un capo, io con Giuseppe De Stefano, facciamo anticamera da Rocco Papalia perché suo fratello è con queste persone che non può vedere nessuno…». Secondo Fiume «anche Paolo De Stefano era protetto da queste persone», poi ci ha litigato e «suo figlio ha detto: “i servizi fanno la guerra e i servizi fanno la pace. I servizi ci ammazzano e non ci pagano».