Il 5 novembre negli Usa si voterà per due visioni antitetiche che creeranno alleanze inedite e nuovi equilibri. L’Europa è debole, disunita, schiacciata da nazionalismi ottocenteschi e destinati alla sconfitta
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Sto scrivendo da mesi, e ne rivendico la paternità rispetto a interpretazioni dei fatti politici prive di respiro internazionale, che prima delle elezioni Usa del 5 novembre in Italia non ci potranno essere grandi novità, ma solo posizionamenti e qualche scommessa.
Le mosse più importanti sulla scacchiera sono state, in questi giorni, quelle di Giuseppe Conte e di Giorgia Meloni. Conte ha prima rotto con il centrosinistra sulla Rai (gesto politico rilevante e pieno di conseguenze) e poi ha sotterrato il cosiddetto campo largo condizionando fortemente il voto delle prossime regionali di Liguria, Umbria ed Emilia Romagna.
La premier Meloni, invece, anche per il ruolo che ricopre, è più cauta, benché la sua esposizione mediatica con Elon Musk a Washington non possa essere considerata per nulla casuale, visto che l’uomo più ricco del pianeta è schierato apertamente a fianco di Donald Trump. Ma la Meloni ha tessuto una nuova tela anche in Europa, dove ha dimostrato di avere un dialogo forte con Manfred Weber, leader del Ppe nel Parlamento Ue, che l’ha affiancata in maniera strategica nella richiesta di eleggere Raffaele Fitto tra i vice presidenti esecutivi della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen.
L’avvicinamento (o lo vogliamo chiamare solo confronto costruttivo?) della Meloni al Ppe, nonostante il recente e rumoroso voto contrario proprio nel corso dell’elezione della presidente della Commissione europea, rientra molto probabilmente in una revisione positiva del dialogo anche con l’Inquilino dell’Eliseo, Emanuel Macron.
Francia e Italia sanno che il Cancelliere federale della Germania, il socialdemocratico Olaf Scholz, ha da affrontare problemi enormi: crisi economica, nodi dirimenti nel settore automobile, contenimento dell’immigrazione, aumento esponenziale del consenso popolare per Alternative für Deutschland (Afd), partito di estrema destra.
Sta per nascere un asse Francia-Italia rispetto a quello, ormai indebolito, Francia-Germania? Lo vedremo nelle prossime settimane. Certo è che Macron, con la scelta di isolare la sinistra del Nuovo Fronte Popolare, vincitore delle elezioni avendo ottenuto il maggior numero di seggi, e di puntare, con il nuovo premier Michel Barnier, su un’alleanza fra conservatori e centristi, manda un segnale all’Europa tutta e anche Oltreoceano. Si tenga anche in considerazione la linea più morbida adottata dalla Le Pen proprio rispetto a questo nuovo scenario, in cui ministro dell’Interno è il repubblicano Bruno Retailleau che al suo insediamento ha dichiarato di voler ridurre l’immigrazione «con qualsiasi mezzo». Tutti questi movimenti ci dicono che la possibile affermazione di Donald Trump viene data per favorita!
Ma ora torniamo a Giuseppe Conte che ha ottenuto due risultati: ha recuperato piena autonomia per i 5Stelle, ed ha ridato spazio di manovra a Matteo Renzi che si erge a difensore della Schlein e di un’ipotesi di aggregazione alternativa alla Meloni. Questo secondo obiettivo involontario crea, per eterogenesi dei fini, molti problemi sia a sinistra sia nel Pd.
Conte, anch’egli erede di un ottimo rapporto con Donald Trump (un caso anche questo?), non poteva consentirsi il lusso di apparire secondo a nessuno nel centrosinistra, di giocare il ruolo del cespuglio rispetto alle ambizioni di premiership della Schlein, di non guardare a cosa sta succedendo e potrebbe succedere nel Movimento.
L’errore di una parte del Pd è stato quello di incasellare i 5Stelle nell’alveo di un centrosinistra classico. Al contrario, i grillini sono stati dalla nascita un segnale di fortissima rottura rispetto al passato, di delegittimazione della vecchia politica e dei vecchi partiti, di manifestazione plateale di dissenso rispetto a un crescente disagio sociale. Conte sa bene che votano 5Stelle quanti pretendono svolte “rivoluzionarie” e non vecchi schemi partitocratici, fatti di sommatorie elettorali che sul fronte dei programmi reali registrano spesso distanze siderali. Si pensi, tra i tanti esempi possibili, al Jobs Act difeso da Renzi e contestato dalla Cgil! Questioni pesanti rispetto a ipotesi di governo reale del Paese.
Chiudo questa analisi ribadendo un concetto espresso in un recente mio articolo: le elezioni Usa, qualsivoglia risultato dovessero avere, significheranno uno spartiacque per il mondo ed anche per gli assetti politici europei e italiano. Molti indizi lasciano pensare che potrebbe prevalere Trump: in politica, però, mai dire mai.
Resto dell’avviso che le nuove coalizioni si consolideranno guardando progressivamente non ai modelli tradizionali e consumati di centrosinistra e centrodestra, ma alle nuove contrapposizioni tra globalisti e antiglobalisti, e soprattutto tra multilateralisti e unilateralisti. Harris e Trump hanno due visioni antitetiche del mondo e questo è il nodo cruciale.
La partita che sta giocando in queste ore Israele dovrebbe far capire a tutti che la situazione globale è cambiata radicalmente e che anche i Paesi Arabi hanno idee diverse per il XXI secolo (sta per finire l’era del petrolio e colossali risorse finanziarie vengono investite in business internazionali che pretendono assetti diversi).
I Brics (Cina, Russia, India, Brasile, Sudafrica, cui si sono associati anche Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti) non riconoscono il primato Usa e chiedono una visione multipolare. Rispetto a questo scenario l’Europa è debole, non è unita, è schiacciata da nazionalismi assurdi, addirittura ottocenteschi, e destinati alla sconfitta. Questo è il campo da gioco del XXI secolo, con la Terza Guerra Mondiale alle porte!