Forse non tutti lo sanno, ma Eugenio Scalfari, il fondatore del quotidiano La Repubblica e del settimanale L’Espresso, morto oggi a 98 anni, aveva origini calabresi. Lo ha raccontato Pietro Comito, in articolo del 2017, che vi riproponiamo.

di Pietro Comito - Vibo Valentia: Pietro Scalfari, giace qui. Eugenio, monumento del giornalismo italiano, ricorda sovente suo padre. Ricorda il suo sangue calabrese: Pietro eroe della Grande guerra, legionario a Fiume, amico di D’Annunzio che gli dedicò anche una poesia. E poi direttore del Casinò di Sanremo. Soprattutto uomo: «Affascinante e infingardo, colto e strano», scrive il figlio, che già nel suo “Racconto autobiografico”, pubblicato nel 2017, lo ricordava come «molto vitale e molto impetuoso, gioioso e audace». E poi giocatore, spesso perdente, seducente e seduttore.

Pietro: nascita e ritorno a Vibo

Pietro nacque a Vibo quand’ancora era Monteleone di Calabria, il 7 febbraio del 1896. Gli atti custoditi nell’Archivio storico del Comune di Vibo certificano le radici calabresi del fondatore di Repubblica: libroni vecchi, affascinanti, ben conservati.

Eugenio, su l’Espresso, racconta che la famiglia nel '43 si trasferì a Roma. Poi, per un paio d’anni, tornò in Calabria, a vivere sulle terre di famiglia. Sui registri custoditi a Vibo è segnata anche la data del matrimonio di Pietro, celebrato a Civitavecchia, dove poi, il 6 aprile del 1924, nacque colui che sarebbe divenuto uno dei maestri dell’informazione italiana.

“Anche i morti vivono”

Eugenio racconta sull’Espresso della verve poetica del genitore, autore di “Anche i morti vivono”, una raccolta di brani sui suoi scrittori e poeti preferiti. Un testo che Scalfari figlio vuole ripubblicare. Ricorda il genitore con lucido disincanto, per ciò che era, nella sua natura umana. Quindi ammette e promette: «L’ho amato e lo farò rivivere in un libro che scrisse quasi mezzo secolo fa».

Gilberto Floriani, direttore del Sistema bibliotecario vibonese, ci spiega quanto sia raro questo testo. Per trovarlo sarebbe necessario risalire la Penisola, fino in Piemonte: «È un libro molto vecchio. Come ricorda Eugenio Scalfari fu stampato davvero in pochissime copie. Dalle mie ricerche mi risulta solo una biblioteca che in Italia lo possiede, a Pinerolo».

Nonno Eugenio Scalfari

Eugenio Scalfari nel petto ha un cuore calabrese e vibonese. Qui nacque suo padre, ma anche suo nonno, del quale porta il nome. Anzi, furono proprio le “battaglie culturali” di Eugenio Scalfari nonno, sin dalla fine dell’Ottocento, a far cambiare nome a Monteleone di Calabria. Eugenio nonno scoprì il nome greco della città: «Hipponium, poi foneticamente modificato in Vibonium, cui il senato romano aggiunse Valentia, dopo che la città aveva resistito ad Annibale».

Chi mastica cultura, da queste parti, sa tanto anche dell’Eugenio Scalfari meno conosciuto ai più. «Il nonno, Eugenio, qui è stato una figura molto importante – spiega Gilberto Floriani -. È stato docente al Ginnasio, quello che oggi è il Liceo “Morelli”. Ma è stato anche giornalista. Curava un giornale che all’epoca aveva una grande influenza, l’Avvenire vibonese. È stato un uomo importante per la cultura del tempo, anche per la massoneria. Scrisse anche un libro, “Storia della massoneria vibonese”. Anche questo abbastanza introvabile».

Bisnonno Pietro Paolo e Garibaldi 

Anche il bisnonno, nella vecchia Monteleone di Calabria, era figura di rilievo. Si chiamava Pietro Paolo. Comandante della guardia urbana. Fu lui ad accogliere – rammenta Eugenio nel suo “Racconto autobiografico” – Giuseppe Garibaldi quando fece il suo ingresso in città. Correva l’anno 1860.

Sangue, cuore, radici vibonesi per uno dei più grandi giornalisti della storia di questo Paese. Sovente rivendicati, con orgoglio, esempio per quanti – perché qui vivono – questa terra dovrebbero amarla di più.