È il processo per i mandanti della strage consumata alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980. Giorno 26 gennaio 2022, udienza numero 62: davanti alla Corte d’Assise emiliana viene chiamato a deporre Giuliano Turone, il magistrato che si occupò del caso Sindona e dell’omicidio Ambrosoli e che, col collega Gherardo Colombo, sequestrò a Castiglion Fibocchi le liste della P2 di Licio Gelli. Turone, nel corso della deposizione, richiama l’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana assassinato a Palermo il 6 gennaio del 1980. I pubblici ministeri di Bologna fermano il teste: «C’è un’indagine ancora aperta, noi sappiamo moltissimo ma non possiamo dire una parola». Indagine sul delitto Mattarella, dunque, riaperta quarantadue anni dopo l’agguato.

Omicidio Mattarella, una pista lunga 1.270 km

Bologna-Palermo, una “pista nera” lunga 1.270 chilometri. Valerio “Giusva” Fioravanti, terrorista neofascista dei Nuclei Armati rivoluzionari, il 23 novembre del 1995 fu condannato in via definitiva all’ergastolo, unitamente a Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, in qualità di esecutore materiale della strage di Bologna. Attende invece il processo d’appello, dopo l’ergastolo rimediato in primo grado il 9 gennaio 2020, l’altro ex Nar, Gilberto Cavallini. Sia Fioravanti che Cavallini furono portati a giudizio dai magistrati di Palermo e, successivamente assolti, quali esecutori materiali dell’omicidio Mattarella: il teorema, che non superò lo scoglio processuale, indicava i terroristi neri messi a disposizione di Cosa nostra per consumare quel delitto «politico-mafioso». Una pista che oggi, anche alla luce di quanto sta affiorando a Bologna, torna in auge con estremo vigore.

Gli omicidi politici

Fu la stessa pista seguita da Giovanni Falcone, della quale abbiamo raccontato già in un nostro servizio, proponendo un documento dal valore storico straordinario, ovvero la registrazione dell’audizione a cui l’allora procuratore aggiunto di Palermo fu sottoposto dalla Commissione parlamentare antimafia in missione nel capoluogo siciliano. Correva il 22 giugno del 1990, settecentouno giorni prima della strage di Capaci. Il magistrato si concentrava sulla sequenza di delitti che, partendo dal 9 marzo del 1979, data dell’omicidio del segretario provinciale della Democrazia Cristiana Michele Reina, giunge fino al 3 settembre del 1982, quando fu assassinato il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. In mezzo l’assassinio del segretario regionale del Partito comunista italiano Pio La Torre, 30 aprile 1982, e prima ancora, l’omicidio di Piersanti Mattarella, 6 gennaio 1980. Il processo per i delitti Reina, Mattarella e La Torre, apertosi nell’aprile del 1992, quindi quasi due anni dopo la missione palermitana della Commissione antimafia, si concluse con la condanna dei componenti della Cupola - Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Ciccio Madonia e Nené Geraci - ma non dei presunti esecutori materiali del delitto Mattarella, ovvero i terroristi neri Fioravanti e Cavallini.

Il «politico di rilievo» da Bontate

Falcone raccontava dei tentativi di depistaggio di Benedetto Galati, figlio del fattore di Michele Greco, il Papa di Cosa nostra. Fu invece Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, ad indirizzare le investigazioni sui Nar, già sotto processo per i fatti di Bologna. Ma c’è una parte, inedita, del racconto di Falcone, che acquisisce particolare pregio alla luce di quanto emerge dai processi di Bologna. «Le voglio dire una cosa – disse Falcone alla Commissione antimafia – Marino Mannoia mi ha riferito, purtroppo non posso essere più preciso, di aver avuto un incontrò con un uomo politico di rilievo e Stefano Bontate gli avrebbe detto che se quel personaggio non si fosse comportato così come egli avrebbe preteso, sarebbe toccato a lui ucciderlo».

Turone: «Andreotti da Bontate»

Chi è l’uomo politico che incontrò Bontate e nel corso del quale si fece riferimento all’atteggiamento di Mattarella, ostile alle logiche di Cosa nostra? Giuliano Turone depone a processo per la strage di Bologna: «Mattarella aveva disposto delle ispezioni in materia di appalti, era sgradito a Cosa nostra per questo e in particolare a Cosa nostra, quella facente capo a Bontate, Inzerillo e Gambino, i quali, alcuni mesi prima dell’omicidio Mattarella, avevano convocato Andreotti in Sicilia». Andreotti – precisa Turone - «riconosciuto penalmente responsabile di complicità con Cosa nostra ancorché prescritto». L’ex magistrato rilegge le pagine di uno dei suoi ultimi libri, L’Italia occulta, e rammenta la «duplice convocazione in Sicilia proprio per parlare di Mattarella, per lamentarsi con Andreotti del fatto che Mattarella fosse così orientato a dar fastidio a loro, perché aveva iniziato una politica antimafiosa».

Mattarella come Reina

Giovanni Falcone, nel 1991, peraltro, evidenziava come «l’uccisione di Mattarella presuppone un coacervo di convergenze e di interessi di grandi dimensioni». Ribadiva, ancora, come le modalità nell’esecuzione dell’omicidio del fratello dell’attuale presidente della Repubblica, non solo fossero sovrapponibili a quelle tipiche dei Nar, ma anche come le caratteristiche esecutive dell’agguato fossero analoghe, «compatibili», con l’omicidio che aprì, in Sicilia, la stagione dei cosiddetti «delitti politici», ovvero l’assassinio nel segretario provinciale della Democrazia Cristiana Michele Reina.

Bologna, 7 gennaio 2021

A riaccreditare in maniera rilevante la pista nera sul delitto Mattarella, che riemerge oggi come uno dei grandi misteri della Repubblica, sono le circa cento pagine che la Corte d’Assise di Bologna dedica nella ricostruzione dei motivi che hanno condotto alla condanna di Gilberto Cavallini per la strage di Bologna. I giudici emiliani, fanno riferimento ad un’altra deposizione di Falcone in Commissione antimafia, del 3 novembre 1988, visto che quella del 22 giugno 1990 (della quale pubblichiamo uno stralcio del file audio=, alla data del deposito della sentenza, ovvero il 7 gennaio 2021, era ancora secretata (solo il 14 luglio successivo sarebbe stata infatti declassificata).

Disse Falcone nel 1988

Disse, nel 1988, Falcone: «Il problema di maggiore complessità, per quanto riguarda l’omicidio Mattarella, deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quali Valerio Fioravanti. Posso dirlo con estrema chiarezza perché risulta anche da dichiarazioni dibattimentali da parte di Cristiano Fioravanti che ha accusato il fratello, di avergli detto di essere stato lui stesso, insieme con Gilberto Cavallini, l’esecutore materiale dell'omicidio di Piersanti Mattarella. È quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura “la pista nera” sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani».

Falcone come l’Ulisse di Dante

Le conclusioni della Corte d’Assise di Bologna sono di una straordinaria potenza narrativa e storica: «Queste dichiarazioni furono fatte da Falcone circa due anni prima della trasmissione Samarcanda a seguito della quale, secondo Fioravanti, Falcone si sarebbe deciso ad accusarlo unicamente per tacitare la canea che si sarebbe sollevata a causa delle dichiarazioni cli Leoluca Orlando. Anche oggi Mambro e Fioravanti sentono la necessità di vanificare questo lascito civile di Giovanni Falcone, la prima bluffando goffamente sulla convinzioni di questo martire, l'altro addirittura infangandolo, inventandosi storie prive di qualsiasi collocazione temporale. Quella sull’omicidio Mattarella fu l’ultima indagine di rilievo condotta da Giovanni Falcone. Poco dopo fu delegittimato. Poi venne ucciso. Le sue tesi si persero. La sua vicenda ricorda l’Ulisse dantesco che giunse in vista del Purgatorio».