«Amedeo Matacena jr, dopo la rottura con la famiglia dello zio, voleva creare una flotta per far concorrenza nei trasporti sullo Stretto. E per poter far giungere i mezzi al porto di Gioia Tauro chiese aiuto all’imprenditore Montesano che si rivolse ai De Stefano. Loro arrivarono poi ai Piromalli. Matacena faceva parte del sistema di potere di cui ho parlato». C’è anche questo particolare nella deposizione di Cosimo Virgiglio al processo “Breakfast” in corso davanti al Tribunale di Reggio Calabria. Nella sua lunga testimonianza, il collaboratore ha parlato anche del protagonista indiretto del processo, ossia Amedeo Matacena jr, ricordando un episodio ormai risalente nel tempo.

 

Il grumo di potere messinese

Tutto parte dall’appartenenza di Virgiglio all’ordine equestre del Santo Sepolcro. Come già riferito nel corso del processo “’Ndrangheta stragista”, Virgiglio entrò nell’ordine grazie ad un nobile messinese che lo prese sotto la sua ala protettiva. Si trattava di una realtà che vedeva come leader un cardinale nominato direttamente dal Papa. In questo caso il cardinale Montezemolo. «Formalmente era dedicato alle opere pie – spiega Virgiglio – ma in realtà all’interno si gestiva un sistema perverso di potere». Di personaggi ce ne erano tanti, come ad esempio «la vedova Franza, don Elio Matacena, Franco Sensi ex presidente della Roma, l’imprenditore Ligresti». Proprio questa appartenenza consente a Virgiglio di poter conoscere da vicino cosa accadde al gruppo Matacena, negli anni 2000-2001, quando si decise per la scissione. «Don Elio non aveva preso bene questa storia – spiega – e tramite il suo autista, Stefano Malara, di Archi, voleva che monitorassi il nipote Amedeo jr, che temeva potesse mettersi in concorrenza con la loro società nel medesimo settore. Amedeo jr era in Forza Italia, ma proveniva dal Partito Liberale».

Le navi a Gioia Tauro

Amedeo Matacena jr aveva acquistato tre navi in Nord Europa. «Elio Matacena – rimarca Virgiglio – minò tutti i punti d’attracco della Caronte, mentre Amedeo era riuscito ad avere uno spazio su Tremestieri. Le navi però si dovevano adeguare e li volle portare al porto di Gioia Tauro, sulla banchina di levante, lato sud. Mi chiama don Elio e mi dice che sarebbe venuto Stefano. Mi dice “Virgiglio dobbiamo capire queste navi”. Eravamo di sera, entriamo e vediamo queste navi. Lì mi sorge una domanda spontanea: a livello tecnico com’è che sono arrivate qui? Ci vuole un raccomandatario marittimo, altrimenti l’autorità portuale non permette. E don Elio voleva sapere cosa ci fosse sotto».


Il racconto entra nei dettagli: «Loro andarono via, io mi reecai all’autorità portuale. C’era Guacci all’epoca e mi disse che avrebbe preso la scheda. Il raccomandatario marittimo era Rinaldo Gangeri, ragazzo che era uscito da poco dal carcere per contrabbando di sigarette. Chiamai il coordinatore locale di Forza Italia e gli chiesi di chiamarmi Matacena per sapere come mai avesse dato la rappresentanza a Gangeri. Andai da Molè e lui mi svelò i retroscena su come le navi arrivarono al Porto di Gioia Tauro. Mi disse che arrivarono per opera di suo cugino Pino “facciazza” Piromalli. Amedeo per portarle si era rivolto a Montesano, imprenditore proprietario dell’hotel Excelsior, il quale era molto ben inserito al Porto di Gioia Tauro con De Bonis, all’epoca direttore della MedCenter. Montesano chiamò i rappresentanti delle famiglie criminali di Reggio, i De Stefano. E loro chiamarono i referenti di Pino “facciazza” ed ecco come le navi poterono arrivare. Gangeri era intimo amico di Carmelo Stillitano, nipote di Piromalli. Tutto si legava. Chiamai Stefano Malara e gli dissi che la situazione era come la pensavano loro. Ossia che Amedeo Matacena era legato alla criminalità di Reggio Calabria, ipotesi che faceva lo zio, che, invece, non era legato a questi ambienti. Lui non ne aveva bisogno, perché si trovava in un posto di comando che poteva sottomettere la criminalità».

Ma cosa c’entrava Montesano con i De Stefano: «Faceva parte anche lui della “Fenice”, la loggia coperta collega a quella dei “Due mondi”. Ne faceva parte anche Matacena così come altri. Ed erano in ottimi rapporti con gli Alliata, che erano i veri padroni a Gioia Tauro, perché avevano al loro interno diversi personaggi della Piana».

 

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