Il rampollo del clan aveva scalato i gradoni della Nord in pochissimo tempo. Con lo stesso metodo di cui accusava gli africoti: «Entrano di sguincio e poi si mettono di piatto»
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«Entrano di sguincio e poi si mettono di piatto»: è lo stesso Totò Bellocco a spiegare ai suoi nuovi “soci” del tifo organizzato neroazzurro come agisce la ‘ndrangheta quando entra in un affare già avviato da altri. Ed è proprio seguendo quel copione (visto così tante volte in tutti i settori economici che possono garantire guadagni ai clan) e che lo stesso Bellocco aveva spiegato ai capi ultras interisti quando temeva le ingerenze degli africoti negli affari maturati attorno allo stadio, che il rampollo del clan rosarnese si era ritrovato a sedere al tavolo che conta, e con il ruolo di mazziere: un ruolo che gli consentiva di decidere come e tra chi andavano spartiti i lauti proventi criminali legati alle partite, ma non solo.
Una colonizzazione “standard”, che al posto di un imprenditore in crisi (o con la fissa di “ampliare” il mercato) vede i capi dei gruppi organizzati della curva (spesso legati alle frange più oltranziste della destra fascista e capaci, svelano le indagini, di decine di scontri con avversari e forze dell’ordine) e che, al posto di una gelateria in centro, si incancrenisce sul settore più caldo di una delle squadre più titolate del campionato italiano.
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E che i Bellocco fossero entrati a piedi uniti nella gestione effettiva degli affari legati alla curva sono gli stessi indagati a raccontarlo mentre decidono come spartirsi il denaro proveniente dagli affari illeciti dell’ultima stagione calcistica. È il 6 giugno del 2022, tra quattro giorni i neroazzurri di Inzaghi si giocheranno con il Manchester City la possibilità di alzare la coppa con le orecchie, e a casa di Antonio Bellocco si discute di come spartirsi la torta della stagione calcistica che si sta per concludere. Ed è una torta succulenta che «al netto di quelli correlabili alla finale di Champions League» che devono ancora essere “contabilizzati”, ammonta a 260 mila euro, 90 mila dei quali da dividere, puliti, tra i tre capoccia del gruppo dirigente. È Marco Ferdico (l’uomo attraverso cui Antonio Bellocco ha potuto scalare i vertici della curva interista e che grazie all’intervento del clan è diventato il leader “di cartone” sulla balaustra della nord) che si reca a casa del giovane originario di San Ferdinando per rendicontare il “bilancio” che deve servire anche a coprire le spese vive della curva: «260 mila avanzati… di questi restano 140 mila… di questi 140 mila euro che abbiamo abbuccato e ho io…. 30 a te, 30 a me e 30 al “lungo”… spiegami una cosa, cosa ne facciamo degli altri 50 che ho a casa? Perché come ben sai bisogna far stare zitto Maurino (Mauro Nepi)…».
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Ai soldi che bisogna spartirsi poi, proprio come in ogni affare legato al crimine organizzato calabrese, una parte deve essere destinata per la cosiddetta “bacinella” in favore dei carcerati. Una parte che non andrà a toccare gli utili netti dei capi e che andrà a beneficio unico del fratello di Antonio Bellocco, Carmelo, da poco finito in carcere in seguito ad un’operazione antimafia: «E digli che c’è tuo fratello carcerato e che abbiamo mandato i soldi alla tua famiglia, cosa che abbiamo detto».
Non bastassero le quote degli utili finiti nelle tasche del clan, Antonio Bellocco ha anche potere di veto su alcuni dei “dirigenti” ultras che andranno ricompensati per il loro lavoro: Ferdico vorrebbe infatti ricompensare anche Francesco Intagliata (che con Antonio Bellocco aveva avuto modo di discutere durante la consegna delle “pezze”) scontrandosi con il no secco del boss. «Era proprio Bellocco a sollevare la questione – scrive il Gip – ipotizzando di non voler lui riconoscere nulla, la decisione ha trovato l’accordo anche degli altri due».