La giornata particolare di Villa San Giovanni chiamata a fare i conti con la distruzione di una concessionaria e con il ricordo dell’agguato al giudice Scopelliti. E a chiedersi cosa sia cambiato in 34 anni durante i quali i clan hanno continuato a soffocare la Calabria
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Tra passato e presente esiste un filo rosso che inchioda il tempo nell’istante di un respiro. E questo la ‘ndrangheta lo sa bene. Quella criminalità che soffoca e sospende le vite. Quella ‘ndrangheta che nel 1991 spense il respiro del giudice Scopelliti e che oggi ha mandato in fumo lavoro e sacrifici. Il tempo passa inesorabile e la mafia, pur cambiando forma, continua a scandire i rintocchi di questa terra appesa a un filo sottile, quel che resta della speranza di una giustizia che sia in questa o nella prossima vita.
Tutto cambia perché nulla cambi. È stata questa la sensazione che oggi può sintetizzare gli sguardi e i pensieri in essi celati dei tanti villesi che, nel giro di poche ore, hanno fatto i conti prima con la violenza distruttiva della ‘ndrangheta oggi (con l’incendio della concessionaria Calabria Motori) e poi con il ricordo di una mafia che 35 anni fa spargeva sangue senza che nulla fosse.
Le coincidenze non esistono. E la scena di oggi è stata quasi evocativa, un monito a non abbassare mai la guardia, perché la ‘ndrangheta è lì che osserva e che sembra essere pronta a riprendere la scena, o forse non l’ha mai realmente lasciata.
Una ricostruzione che ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Il cuore ha fatto un sussulto nel rivedere per la prima volta la macchina del giudice Scopelliti riapparire sulla scena del crimine. Tutto tremendamente realistico, tutto paradossalmente attuale. E a guardare quella scena, mentre l’aria era intrisa della puzza di fumo per le fiamme della notte, la domanda più volte è risuonata tra i pensieri: Ma qualcosa è cambiato davvero? Ma il sacrificio di uomini come il giudice Scopelliti è stato vano?
Vogliamo sperare tutti di no, ma l’escalation criminale che sta riguardando il territorio reggino nell’ultimo periodo non passa inosservata. I morti ammazzati, le sparatorie per strada, le fiamme quotidiane. È come un triste scenario già visto che ci obbliga a fare i conti con una realtà che vorremmo o preferiremmo ignorare. Ci sono equilibri in bilico, conti in sospeso, pene al termine e tanti, troppi interessi e territori da controllare. Così la ‘ndrangheta torna a prendersi la scena tra colpi di fucili, arsenali malcelati, droga e intimidazioni.
Negli ultimi mesi, Reggio Calabria e la sua provincia hanno vissuto un preoccupante aumento della violenza legata alla ‘ndrangheta, con episodi che ricordano i tempi più bui della storia della città dello Stretto. Incendi dolosi hanno devastato esercizi commerciali, simboli di una ripresa economica tanto sperata, mentre sparatorie si sono verificate in centro, seminando il panico tra i cittadini. Questi atti intimidatori non sono semplici eventi isolati: rappresentano il disperato tentativo delle cosche di riaffermare il loro potere dopo periodi di apparente calma. I commercianti, spesso costretti a pagare il pizzo, si trovano ora ad affrontare una nuova realtà di paura e insicurezza, sentendosi sempre più vulnerabili.
Il racket non è un fenomeno passato. È maledettamente presente ed è inutile negarlo.
La risposta delle forze dell’ordine, seppur presente e massiccia, sembra non bastare, mentre la comunità chiede a gran voce un intervento più incisivo. L’aria nel Reggino è tesa, e il timore di un ritorno ai conflitti sanguinosi degli anni ’80 e ’90 aleggia inquietante. La speranza è che la società civile si unisca per combattere questa escalation, riscoprendo il valore della legalità e della solidarietà. È fondamentale unirsi contro la paura, incoraggiando una rinascita culturale e sociale in una terra che merita di tornare a brillare, lontana dall’ombra della criminalità organizzata. Solo così Reggio Calabria potrà imboccare un percorso di riscatto e sviluppo, liberandosi definitivamente da un passato che ancora pesa come un macigno.
Un macigno, o come gridò qualcuno anni fa una montagna di merda, di certo esiste un punto di non ritorno e adesso è il tempo di fermarsi a riflettere, perché il male genera male, e se questa spirale criminale non verrà interrotta, si rischiano tempi bui, e Reggio, anche se finge di aver dimenticato, quel buio lo ricorda bene. Nascondere la polvere sotto il tappeto non è la chiave, non lo è mai stato. Serve coraggio e denuncia per non perdere la dignità della libertà. Serve non piegarsi, resistere e ritrovare una rete in grado di non lasciare spazi liberi. Uomini e donne libere che assicurino spazi di bellezza sottraendoli alla criminalità. La bellezza forse non salverà il mondo, ma sicuramente salverà la nostra parte più sana, i giovani che a questo schifo non devono abituarsi. E questa, che ci piaccia o no, è una nostra responsabilità.